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La stampa è diversa dal monitor

Perché la stampa può differire da quello che vediamo sul monitor

RISPOSTA SINTETICA

Perchè sono due cose totalmente differenti, quindi è normale che si possano presentare delle differenze.

Premessa

Questo argomento è veramente molto delicato oltre che molto inflazionato.

Si potrebbe addirittura riassumere con l’esclamazione: “Al diavolo tutto! Quello che conta è come esce la stampa!”.

Ecco, diciamo che un fondo di verità potrebbe esserci, ma bisogna coglierne la corretta forma di questa affermazione.

Ovviamente la premessa è che si stia lavorando in modo corretto e quindi con un monitor calibrato e profilato, e con software color management (esattamente come visto negli articoli precedenti).

 

È così assurdo pretendere di avere una stampa esattamente come l’immagine che vedo a monitor?

In prima battuta dobbiamo prendere consapevolezza che una stampa e la sua corrispettiva immagine visualizzata a monitor, vivono due nature fisiche totalmente diverse:

● il monitor: ci mostra un’immagine fotografica per mezzo di un pixel che emette luce
● la stampa: ci mostra una fotografia per mezzo di un inchiostro su un supporto che riflette luce

Pretendere quindi che due sistemi basati su principi fisici differenti producano un risultato “identico” è abbastanza ardita come richiesta.

NOTA : una corretta illuminazione è fondamentale per poter visualizzare una stampa in modo corretto.

 

A monitor (RGB) ho più colori che in stampa (CMYK)?

Nei sottoborghi della rete capita spesso di leggere affermazioni (errate) come la seguente:

“…tanto poi in stampa hai meno colori che a monitor,
quindi converti in CMYK così vedi come verrà stampata…”
.

Mmm… ma anche no!

Quando leggiamo frasi che riportano “più/meno colori” dovremmo intendere un gamut più o meno ampio.
Ad esempio il gamut di uno spazio ProPhoto RGB è più esteso di quello sRGB.
Questo confronto ha pienamente senso perchè gli spazi presi in esame sono “generati” dalla medesima base RGB.
Ovvero è lecito definire una gerarchia in base alla loro ampiezza.

Quando invece parliamo di stampa passiamo da una rappresentazione per mezzo di una base RGB (monitor) ad una con base CMYK (inchiostri).

Quindi, in senso stretto, possiamo affermare che non ha senso alcuno paragonare due gamut generati da basi diverse.
Ovvero che un determinato gamut di stampa sia “più o meno grande” rispetto a quello di visualizzazione su un monitor, proprio perchè sono intrinsecamente diversi e quindi non confrontabili.

Da cosa dipende il gamut di stampa?

Il gamut di stampa dipende dall’intero sistema composto da:

stampante
driver
inchiostro
carta

Rimane semplice intuire che una Epson Stylus Pro 9900 con 10 inchiostri a pigmenti UltraChrome HDR avrà un resa in termine di gamut non paragonabile ad una stampante da centro commerciale.

Allo stesso modo una carta come la Hahnemühle Photo Rag non è paragonabile ad una carta per stampa chimica come quella usata nei minilab.

Quindi adesso il sistema può esser preso in esame e, tramite una procedura ben precisa, si può generare un profilo ICC che descriverà apunto il gamut riproducibile.

 

Che forma ha il gamut di un sistema driver-stampante-inchiostro-carta?

Prendiamo in esame il sistema così composto:

Epson Stylus 4900
Driver Standard Epson
Ink UltraChrome HDR
Felix Barita

Nella figura seguente sono stati riportati i tre principali spazi di lavoro (ProPhto RGB, AdobeRGB 1998 ed sRGB) assieme a quello di un generico CMYK e del nostro sistema di stampa.

Possiamo facilmente notare che:

il gamut del generico CMYK è stato descritto volutamente in modo molto schematico (ed approssimato) così da poter cogliere immediatamente la problematica
il gamut del sistema di stampa è più esteso del generico CMYK

Ponendo a confronto i due gamut appena presi in esame, possiamo immaginere quello di stampa come la modellazione del generico CMYK attraverso l’uso opportuni inchiostri (dove vengono aggiunti dei punti cardine in corrispondenza del colore dell’inchiostro utilizzato).

Le stampanti professionali usano appositamente un gran numero di inchiostri (anche 11) in modo da massimizzare il gamut riproducibile.

 

Cosa ci indica la porzione di gamut comune?

La porzione di gamut comune (intersezione) tra quello di stampa e quello di riferimento (ad esempio AdobeRGB 1998) ci indica la nostra “zona sicura” che potrà esser riprodotta senza alterazioni.

Ovviamente ci si auspica di avere un matching quanto più alto possibile tra le due aree.

 

Cosa accade ai punti esterni al gamut stampabile?

A causa della profonda diversità (anche fisica) tra stampa e monitor (CMYK/RGB), avremo sempre dei colori riproducibili a monitor ma non in stampa e viceversa colori riproducibili in stampa ma non a monitor.

Quindi i punti lasciati fuori saranno opportunamente mappati attraverso gli intenti di rendering in modo da far rientrare in stampa quello che vediamo a monitor e viceversa.

 

Come posso pre-visualizzare a monitor cosa avrò in stampa?

Qui iniziamo a toccare un terreno abbastanza scivoloso, ma quello che potrebbe fare al caso nostro si chiama soft proof.

Prossimamente avremo modo di approfondire meglio sia i vari intenti di rendering che la soft proof.

 

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Pixel, PPI e DPI

Pixel, PPI e DPI

RISPOSTA SINTETICA

Il numero di pixel non definiscono una risoluzione.

I PPI fanno riferimento a strumenti come i monitor.

I DPI fanno riferimento a strumenti come stampanti o scanner.

PPI e DPI non hanno nessun legame.

Introduzione polemica…

አስፈላጊ የሆነው ነገር በሐሰተኛ የሐሰት ሰዎች ዓለም ውስጥ።
ሙዝ ወይም አልማዝ ፣ በኩሬው ወይም በኪሎው ምንም ነገር አይለወጥም።
እጠራጠራለሁ ፣ ፖም እመርጣለሁ ፣ እናም እስቴክ ነው።

“In un mondo di falsari quel che conta è vendere.
Banane o diamanti, al pezzo o al chilo, nulla cambia.
Io nel dubbio, preferisco una mela, e che sia Stark.”

 

Cos’è il pixel?

Il pixel è l’elemento base utilizzato nei sistemi di visualizzazione digitale, come ad esempio un monitor, e restituisce un determinato valore di luminosità (e colore).
Un’immagine è anch’essa formata da pixel, e contengono delle informazioni sull’immagine.

I pixel di un monitor e quelli di un’immagine (file digitale) sono due cose diverse.

 

Aumentando il numero dei pixel aumenta la risoluzione?

ASSOLUTAMENTE NO!

La risoluzione, per esistere, deve essere una misura.
Il numero di pixel invece sono un numero adimensionale, quindi non possono descrivere una risoluzione.

Questa ambiguità nasce dal fatto che si è presa l’abitudine di usare il termine risoluzione per indicare le dimensioni di un’immagine (file digitale) indicandone ad esempio le m righe ed n colonne (come ad esempio 6000px orizzontali per 4000px verticali).

Per parlare concretamente di risuluzione dobbiamo iniziare a chiederci quanti di questi pixel possiamo avere per unità di misura lineare.

Ed ecco giunti al termine PPI.

 

Cosa sono i PPI di un dispositivo?

La sigla PPI indica letteralmente Pixel per inch (pixel per pollice) ed è una misura di densità.
Questa misura ci dice quanti pixel per pollice lineare sono presenti in un monitor.

In definitiva il valore dei PPI ci fornisce la risoluzione del dispositivo in uso.

NOTA: Ricorderemo sicuramente quando un noto brand usò il termine Retina Display, e descriveva semplicemente che il dispositivo aveva un valore di PPI assai elevato, a tal punto che il nostro occhio non sarebbe in grado di “distinguere” il singolo pixel.
Questo significa che la dimensione fisica dei pixel, in strumenti dall’alto valore di PPI, sono veramente molto ma molto piccoli.

 

Come calcolare i PPI?

Per calcolare i PPI di un disposizitvo sarà sufficiente avere a disposizione i seguenti dati:

numero di pixel sul lato lungo (o larghezza)
numero di pixel sul lato corto (o altezza)
lunghezza della diagonale (espressa in pollici)

e poi successivamente applicare la seguente formula:

A titolo esemplificativo andremo ad ipotizzare i seguenti tre casi.

CASO 1 – la medesima quantità di pixel distribuiti su superfici di dimensioni differenti:

● monitor A : 24″ con 2560px per 1440px (122.38 PPI)
● monitor B : 27″ con 2560px per 1440px (108.79 PPI)

Il monitor A risulterà avere una risoluzione maggiore perchè lo stesso numero di pixel sono distribuiti su una superficie più piccola rispetto a quella del monitor B.

CASO 2 – differente quantità di pixel ma distribuiti sulla medesima superficie:

● monitor A : 24″ con 1920px per 1080px (91.79 PPI)
● monitor B : 24″ con 2560px per 1440px (122.38 PPI)

Il monitor B risulterà avere una risoluzione maggiore perchè a parità di superficie ha una quantità maggiore di pixel rispetto a quella del monitor A.

CASO 3 – sia differente quantità di pixel che dimensioni della superficie:

● monitor A : 19″ con 1920px per 1080px (115.94 PPI)
● monitor B : 27″ con 2560px per 1440px (108.79 PPI)

Nei casi in cui a variare sono sia la quantità dei pixel che la superficie, non è così semplice intuire quale dei due monitor abbia la risoluzione maggiore.
In questo caso il monitor A benchè abbia una quantità inferiore di pixel, ma distribuiti su una superficie più piccola, risulterà avere una risoluzione maggiore rispetto a quella del monitor B.

 

Cosa sono i PPI in un file?

I PPI in un file sono semplicemente un numero.

Valutando però assieme sia pixel che PPI, possiamo avere una stima di quanto sarà grande la riproduzione di un’immagine su un dispositivo avente quella determinata risoluzione espressa in PPI.

Per meglio capire questa affermazione basterà aprire un’immagine in Photoshop ed andare nel menù Immagine > Dimensione immagine.

Adesso disabilitate la spunta su Ricampiona, e provate a cambiare il valore della Risoluzione.

Noterete che le dimensioni in pixel rimarranno esattamente le stesse, ma al variare della risoluzione avrete una dimensione di riproduzione (Larghezza x Altezza) che varieranno in modo inversamente proporzionale al valore dei PPI.

Quindi ricordiamoci che i PPI non influenzeranno la qualità dell’immagine visto che il numero dei pixel rimane invariato.

 

Le immagini per il web devono essere a 72 PPI?

Se le immagini vengono visualizzate a monitor il valore di PPI è assolutamente inutile.

Se prendessimo ad esempio un’immagine dal lato lungo 6000px, che essa sia salvata con un valore di PPI pari ad 150 o 300, rimarrà sempre un’immagine da 6000px e quindi visualizzata esattamente allo stesso modo (come verificato poco sopra).

Il valore di PPI è da intendere quindi come un target che lascia inalterato il numero di pixel e quindi la sua rappresentazione su sistemi dotati di pixel come i monitor, e serve solo per prevedere quali saranno le dimensioni in uscita quando si utilizzano unità lineari come i centimetri, metri, o l’unità desiderata.

 

Cosa sono i DPI di un dispositivo?

La sigla DPI indica letteralmente Dots per inch (punti per pollice) ed è anch’essa una misura di densità.
Questa misura ci dice quanti punti per pollice lineare una periferica sarà capace di rappresentare a prescindere che si tratti di una stampante o uno scanner.

Nel caso di una stampante, indica i punti di inchiostro per pollice lineare che saranno stampati sul supporto.

Stampanti professionali come la Epson Stylus Pro 9900 possono raggiungere i 2880 DPI.

In questo caso i DPI possono influire sulla qualità dell’immagine in modo direttamente proporzionale al suo valore.

 

Cosa sono i DPI in un file?

Avete presente come l’illustre ragionier Fantozzi si espresse in merito alla “corazzata Potemkin”?

Esattamente… i DPI in un file descrivono il nulla più assoluto.

 

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Perché usare lo spazio colore ProPhoto RGB?

Perché usare lo spazio colore ProPhoto RGB?

Pro-Photo RGB vs AdobeRGB (1998) vs sRGB | PARTE 2

RISPOSTA SINTETICA

Essendo ProPhoto RGB il più ampio tra gli spazi standard, ci permette di “non buttar via nulla” o comunque il meno possibile.

Partiamo dalle basi…

Prima di proseguire se non hai letto la prima parte di questo articolo, ti consiglio di farlo ora cliccando sul seguente link: ProPhoto: parte 1

La domanda che starò per formulare è sicuramente tra le più gettonate per quanto concerne la tematica della gestione del colore, e devo confessarvi che anche io (a tempo debito) me la posi in modo del tutto analogo.

 

Ma se il mio monitor non copre nemmeno il 100% dello spazio sRGB, che senso ha lavorare in AdobeRGB 1998 o addirittura in ProPhoto RGB?

Senza rischiare di far diventare il tutto molto noioso e complicato, voglio riportarvi un esempio culinario al quale son particolarmente affezionato.

Farò una semplificazione estrema, ma ho notato negli anni esser molto utile ed apprezzata anche dai miei alunni.

Immaginate di voler preparare una pizza…

Quindi prendete gli ingredienti ed iniziate a mescolarli fino a quando l’impasto non sarà pronto.
Sicuramente avrete utlizzato uno spazio molto comodo ed ampio (un tavolo).

Successivamente dovete fare delle porzioni, stendere l’impasto e poi mettere il condimento.
In questa fase vi potrebbe bastare uno spazio uguale o anche più piccolo della fase precedente (un tavolo o una teglia).

Infine dovete infornare la pizza, e quando cotta decidere se servirla intera o a spicchi/pezzi.
Anche in questa fase vi potrebbe bastare uno spazio uguale o più piccolo della fase precedente (una teglia o un piatto).

Ipotizzando ora di voler mangiare anche un solo spicchio di pizza:

● né abbiamo infornato il singolo spicchio
● né abbiamo impastato su un piatto della dimensione di una pizza
● né tantomeno abbiamo impastato su un piatto della dimensione di uno spicchio

Non importa se si vuol mangiare una piazza intera o solo uno spicchio.
L’impasto verrà preparato “sempre” su una base ampia e comoda in modo da poter lavorare al meglio!

Allo stesso modo vale per il nostro discorso in ambito fotografico.

Lavoriamo in ProPhoto RGB (impastare sul tavolo), se siamo fortunati visualizziamo a monitor in AdobeRGB 1998 (pizza al piatto), ed esportaiamo in sRGB per publicare sul web o stampe chimiche economiche (pizza al taglio).

E tutto questo, anche se potrà sembrarvi ancora strano, ha perfettamente senso!

Si userà quindi lo spazio/profilo opportuno in base al lavoro da svolgere o alla destinazione d’uso del file.

 

Ma se ho spazi e profili tutti differenti, come faccio a visualizzare le immagini in modo corretto?

Partendo dal presupposto che:

la nostra immagine incorpori sempre un profilo colore (profilo di origine)
si utilizzi un software Color Management qualsiasi esso sia (Bridge, AcdSee, Adobe Camera RAW, Lightroom, Photoshop o anche dei semplici browser come Google Chrome, Firefox e Safari) (intento di rendering e motore di colore)
si abbia calibrato il proprio monitor ed il profilo ICC sia stato caricato correttamente (profilo di destinazione)

A questo punto entra in gioco un sistema chiamato COMPENSAZIONE A MONITOR.

Più nello specifico si avrà che:

se il software utilizzato è Color Management sfrutterà il proprio motore di colore ICC (color engine) o CMM (color management module o method)
il motore di colore, basandosi su un determinato intento di rendering (percettico, colorimetrico assoluto, colorimetrico relativo, saturazione), farà sì che la rappresentazione di un’immagine mantenga una certa “coerenza visiva” a prescindere dal profilo di origine e di destinazione

Come avviene esattamente questo matching, per ora, non è di fondamentale importanza.

Sarà però facile intuire che in base al software utilizzato, e quindi motore di colore ed intento di rendering, la visualizzazione della medesima immagine potrebbe differire di caso in caso.

Questa situazione non deve spaventarci perchè rientra nella normalità delle cose.

Spero che questo articolo, almeno come primo approccio, sia stato utile per chiarire alcuni concetti molto importanti.

 

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Quale spazio colore per la Post-Produzione

Quale spazio colore per la Post-Produzione?

Pro-Photo RGB vs AdobeRGB (1998) vs sRGB | PARTE 1

RISPOSTA SINTETICA

ProPhoto RGB a 16 bit oppure AdobeRGB 1998 ad 8/16 bit.

PICCOLO RIPASSO

Il RAW non ha un profilo colore incorporato.

Il profilo colore può esser incorporato nel momento in cui si esce dal software per lo sviluppo del RAW (come ad esempio Adobe Camera Raw, Lightroom e CaptureOne).

Profilo colore e spazio colore sono due cose diverse.

 

Su quale spazio visualizziamo il RAW?

Il primo passo da compiere è capire che il RAW non è altro che un insieme di numeri (o dati).
Questi, fino a quando non opportunamente interpretati, saranno ancora dei semplici numeri.

Quindi quando visualizziamo un RAW tramite software opportuni, come ad esempio Adobe Camera RAW o software affini, questi devono compiere alcune operazioni:

lettura dei dati del RAW
demosaicizzazione del RAW (ricostruzione dell’immagine attraverso i numeri acquisiti tramite algoritmi proprietari)
assegnazione dei valori colorimetrici XYZ ai dati demosaicizzati
conversione nello spazio colore RIMM (ovvero ProPhoto RGB con gamma lineare pari ad 1)
visualizzazione dell’immagine a monitor nello spazio colore Melissa RGB (ovvero ProPhotoRGB ma con gamma 2.2)

Nello specifico visualizzando un RAW stiamo osservando un’immagine già demosaicizzata e rasterizzata con profondità a 16bit.

NOTA: esistono ben due spazi ProPhoto RGB!

Gli spazi in questione sono:
RIMM RGB (Reference Input Media Metric) con gamma 1 ed è lo spazio definito come scene-referred usato da Camera Raw e Lightroom
ROMM RGB (Reference Output Media Metric) con gamma 1.8 ed è lo spazio definito come output-referred e fa riferimento ad un possibile output con valori codificati tramite una fuzione di risposta tonale o “gamma”

 

Quale spazio colore usare per ridurre al minimo le perdite di informazione?

In prima battuta è semplice intuire che più grande sarà lo spazio, e meno informazioni saranno “perse”.

Ricordando poi che il RAW viene rappresentato su uno spazio RIMM, appunto un ProPhoto RGB, viene semplice intuire che usare ProPhoto RGB 16bit è sicuramente una tra le scelte più valide.

 

Posso usare ProPhoto RGB ad 8bit?

Usare ProPhoto RGB ad 8bit è la peggiore scelta che possiate fare.

Copio ed incollo un post preso su Facebook in modo da poter fare assieme alcune riflessioni:

“Lavoriamo in ProPhoto per avere più sfumature possibili,
ma impostiamo ad 8bit tanto 16bit non servono ed il PC è anche più veloce.”

Tralasciando il concetto relativistico dove un PC non è più veloce se elabora file ad 8bit piuttosto che a 16bit, ma semplicemente ci impiega meno tempo perchè hanno un numero minore di informazioni.
E tralasciamo anche il concetto di “avere più sfumature possibili”, dove così espresso non è il massimo della forma.

Il punto è semplicemente il seguente.

Se si sta usando uno spazio molto ampio come il ProPhoto RGB occorrono una grandissima quantità di punti per descrivere questo spazio, e se il numero di punti a disposizione per descrivere questo spazio è combinazione dipendente dal numero di bit a disposizione, verrà da se che più bit si avranno e meglio si potrà rappresentare il nostro spazio.

ProPhoto RGB va usato rigorosamente a 16bit.

 

Bisogna utilizzare sempre ProPhoto?

Assolutamente NO. Non è legge.

Un’alternativa molto valida sarà quella di usare AdobeRGB 1998 ad 8/16bit.

 

Quando possiamo utilizzare AdobeRGB 1998? E casomai ad 8 o 16bit?

Questa è una domanda molto ma molto interessante.
Casomai, se ne avrete voglia, potremo approfondire il discorso in uno dei prossimi articoli.

 

Ma AdobeRGB 1998 è peggio di ProPhoto RGB?

È fondamentale fissare subito alcuni concetti:
● Non ha minimamente senso parlare di meglio o peggio
● AdobeRGB 1998 e ProPhoto RGB sono diversi!
● Quello che possiamo dire è che AdobeRGB 1998 è più piccolo di ProPhoto RGB.

Di conseguenza se dovessimo aver bisogno di un contenitore molto grande sicuramente sapremmo quale scegliere.

Lavorare in spazi grandi però ha i suoi pro e contro:

● PRO : non si butta via nulla
● CONTRO : richiede una grande consapevolezza e padronanza dello strumento

Facendo un esempio molto semplice, la stessa curva disegnata sulla medesima immagine prima in ProPhoto RGB e poi in sRGB, produrranno due riultati visivamente differenti.
Più precisamente la curva disegnata sull’immagine in ProPhoto darà origine ad un “effetto” molto più marcato rispetto a quella in sRGB proprio perchè si è lavorato su uno spazio più ampio.

 

Quando possiamo utilizzare sRGB?

Di prassi l’sRGB viene usato come punto di arrivo e non di partenza.
Ovvero normalmente si post-produce usando uno spazio molto ampio come il ProPhoto RGB e si esporta, come nel caso della pubblicazione su web, convertento in sRGB ed incorporando il profilo.

Nota: generalizzare è una cosa che non mi è mai piaciuta, tuttavia in questo caso lo si è fatto solo per semplificare il discorso. Questo significa che laddove l’operatore capace e consapevole decidesse di post-produrre direttamente nello spazio sRGB, non è detto che questa scelta possa precludere in modo definitivo il conseguimento di un lavoro ugualmente valido.

Qui sotto riporto un grafico 3D dove vengono rappresentati i relativi volumi degli spazi standard ProPhoto (reticolo a maglie) ed sRGB (parte solida colorata).

Lo reputo molto interessante, soprattutto da un punto di vista prettamente didattico, perchè rende bene l’idea di quanta differenza ci sia tra questi due spazi.

 

Ma se il mio monitor non copre nemmeno il 100% dello spazio sRGB, che senso ha lavorare in AdobeRGB 1998 o addirittura in ProPhoto RGB?

Ma se ho spazi e profili tutti differenti, come faccio a visualizzare le immagini in modo corretto?

Se volete approfondire questo aspetto non potete perdere il prossimo articolo!

 

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Guida alla Calibrazione del Monitor

GUIDA ALLA CALIBRAZIONE DEL MONITOR

RISPOSTA SINTETICA

WEB: 6500K – 120cd/m2 – gamma 2.2

STAMPA: 5000K – 80cd/m2 – gamma 2.2

Premessa

Se non hai ancora un’idea chiara sul perchè sia necessario calibrare un monitor, ti consiglio la lettura di questo articolo:

Perché calibrare il monitor

 

Preparare la luce ambiente

Purtroppo, troppo spesso, si dimentica che il colore percepito dipende anche dalle caratteristiche della fonte illuminante.

Proprio per questo , come primo aspetto, dovremo assicurarci di operare in una situazione con fonti luminose aventi delle caratteristiche opportune.

I valori principali per la scelta delle lampade sono il CRI e la temperatura colore.

Il valore del CRI (Color Rendering Index) ci darà almeno in prima battuta una una valutazione sulla “resa cromatica della sorgente luminosa“.
Questo valore quanto più sarà prossimo al valore 100 tanto più la nostra fonte luminosa sarà simile alla luce diurna.
(Approfondiremo meglio questo argomento in uno dei prossimi articoli.)

Anche la temperatura colore sarà opportunamente scelta per mantenere una simulazione quanto più prossima a quella della luce diurna, e quindi con valori tra i 4000K ed i 6500K.

Ovviamente sono fortemente sconsigliate (oltre che inadatte) tutte le situazioni dove sono presenti lampade di differente temperatura colore o peggio ancora colorate, e tantomeno ambienti completamente bui e/o con fari puntati in modo diretto sul monitor.

 

Quale sonda usare per la calibrazione?

Io personalmente ho sia lo Spyder 4 Pro (Datacolor) che l’i1Display Pro (X-rite).
Vanno egregiamente bene entrambi i prodotti, quindi prendete quello che meglio soddisfa le vostre esigenze.

NOTA: il i1Display Pro può esser usato anche per i proiettori

 

Quale Software usare per la calibrazione?

Potremmo usare tranquillamente i software forniti dalle rispettive aziende, tuttavia reputo assai migliore DisplayCAL, ed è ampiamente compatibile con entrambi le sonde sopra citate.

 

Come preparare il monitor?

Come già saprete, bisognerà accendere il monitor e lasciarlo “riscaldare”.
Questo perchè fisicamente il sistema deve trovare un suo equilibrio.

Andate nel menù OSD ed impostate (almeno in prima battuta):

uno spazio colore standard e che sia il più grande possibile (sRGB/AdobeRGB) o Custom
il contrasto al valore nativo
la luminosità al valore nativo

Personalmente poi vi consiglio di fare una ricerca su TFT Central per vedere se il vostro monitor è stato recensito, e nel caso lo fosse date una letta approfondita.
In questo modo potrete rapidamente capire sia la bontà del monitor acquistato, ma soprattutto per poter trovare alcuni suggerimenti veramente molto utili per impostare il menù OSD del vostro monitor in modo da minimizzare il deltaE (almeno in prima battuta).

 

Come installare il Software e i Driver della sonda colorimetrica?

Una volta installato DisplayCAL, dovrete instalalre i driver della vostra sonda.

Nota: se durante l’installazione il software dovesse chiedervi accesso ad internet o autorizzazioni come amministratore, voi date il vostro consenso in modo che possa operare in modo corretto.

Quindi dopo aver lanciato il software recatevi nel menù Tools > Strumento/Porta > Install Argyll CMS instrument drivers… e procedete accettando tutte le richieste che si dovessero presentare.

Adesso il vostro colorimetro dovrebbe esser stato riconosciuto da DisplayCAL e quindi diventerà accessibile la zona Calibration.

Qui di seguito una serie di schermate che meglio vi guideranno in questa prima fase.

 

Quali parametri scegliere per effettuare la calibrazione?

A questo punto le strade posso essere due:

Se la vostra sonda HA il sensore per la luce ambiente: posizionatela in modo opportuno e sfruttate questo sistema per far leggere il tutto al software in modo automatico
Se la vostra sonda NON HA il sensore per la luce ambiente: dovremo impostare noi manualmente i parametri

Quindi per una configurazione manuale dovremo recerci nella zona Calibration ed almeno come “primo tentativo” usare i seguenti paramentri:

Attivare la spunta su “Correzione interattiva dello schermo” solo se il vostro monitor ha la possibilità di accedere ad un menu OSD (On-Screen Display)

● Punto di bianco: Temperatura 6500K o 5000K
Generalmente 6500K (D65) è il riferimento per il web, mentre 5000K (D50) per la stampa.
Ovviamente si consiglia di avere un’illuminazione che sia anche quanto più simile possibile al riferimento di temperatura scelto.

NOATA: nonostante sia generalmente corretto impostare una temperatura colore simile a quella dell’ambiente di lavoro, quando si tenta di calibrare un monitor scadente come ad esempio quello dei portatili di fascia bassa, ci si potrebbe trovare di fronte a risultati poco gradevoli e con notevoli dominanti cromatiche (ad esempio verde). Questo purtroppo accade sia perchè il monitor ha una LUT unica (monodimensionale) da condividere con tutti e tre i canali sia perchè il sistema di retroilluminazione è ridotto all’osso o del tutto assente.
In questi casi posso dire (per esperienza diretta) che si possono ottenere risultati migliori accettando una temperatura colore del monitor più vicina a quella nativa (quindi ad esempio visualizzare immagini più fredde/calde), ma con una calibrazione che cerca quantomeno di salvare il salvabile.

● Livello del bianco: selezionare Altro ed impostare 120 cd/m2 o 80 cd/m2
Generalmente il valore di 120cd/m2 è il riferimento per il web mentre 80 cd/m2 per la stampa.

NOTA: i valori sono indicativi visto che possono dipendere da molti fattori quali: numero di fonti luminose, orientamento, potenza e non meno dai materiali in uso.

● Curva dei toni: Gamma 2.2

● Velocità calibrazione: Alta

Avviate quindi la calibrazione, e per chi avesse abilitato la spunta su “Correzione interattiva dello schermo”, potrà portarsi nel menù del monitor dove ottimizzare i valori dei canali RGB oltre che della luminosità.

Qui di seguito una serie di schermate che meglio vi guideranno in questa seconda fase.

Al suo completamento è importante avere un’aspetto che non presenti palesi “anomalie” e che potrebbero far presupporre ad una calibrazione “mal riuscita”.

Io personalmente, dopo aver verificato la buona riuscita della “prima calibrazione”, la ripeto nuovamente ma con una velocità impostata su Media.

 

Cosa significa quindi calibrare un monitor?

Durante la fase di calibrazione abbiamo potuto notare come il nostro software “proiettasse” una serie di target, ed il colorimetro ne leggesse i valori “visualizzati” a monitor.

In questo modo si è potuto ricostruire una tabella input/output che farà riferimento alle componenti RGB di ogni singolo target, e potendo così ottenere una descrizione più o meno puntuale sul comportamento del nostro monitor.

Una tabella così prodotta può essere così intesa come “generatrice” di tre curve (rispettivamente R,G, e B) e che mostrano la differenza tra input ed output del nostro monitor.

Questa è chiamata caratterizzazione.

Il software successivamente tradurrà questa tabella in un profilo ICC che apputo sarà utilizzato per correggere l’output della nostra periferica, e quindi avere una corretta visualizzazione delle immagini a monitor.

 

Come cercare di migliorare la creazione del profilo ICC per il nostro monitor?

Se abbiamo effettuato una calibrazione come sopra indicato, è stata utilizzata una matrice di 413 target.

Sarà semplice intuire che maggiore sarà il numero dei campioni analizzati e maggiore sarà la probabilità di avere una caratterizzazione più precisa e/o accurata.
Ovviamente aumenterà anche il tempo impiegato per effettuare le letture.

Se per qualsiasi esigenza aveste quindi bisogno di cambiare il “testchar”, baserà andare in Profiling > Modifica testchar… ed impostare quello ritenuto più opportuno.

 

Come verificare se i profili sono stati caricati correttamente?

DisplayCAL Profile Loader è la risposta a tutti i nostri dubbi.

Per richiamarlo basterà andare nella status bar e cliccre con il tasto destro sull’apposita icona, e spostandoci quindi sulla voce Profile associations… potremo visualizzare quale profilo è stato caricato e soprattutto a quale periferica è associato.

Questa semplice procedura, ovvero quella di una corretta associazione del profilo colore alla rispettiva periferica, può essere relativamente semplice su sistemi MAC ma decisamente poco intuitiva in quelli Windows.

Per questo, ed altri motivi, consiglio vivamente di usare la suite DisplayCAL.

 

È corretto utilizzare il termine “calibrazione”?

Siamo oramai abituati ad usare il termine calibrazione in senso molto ampio, e come in questo articolo, non siamo stati a far molte distinzioni.

Tuttavia, come potrete notare anche dai testi presenti nei vari software, vengono citate due procedure ben distinte: calibrazione e caratterizzazione.

La calibrazione fa riferimento alla procedura iniziale dove tramite menù OSD del monitor andiamo ad impostare determinati valori (Spazio, Gain RGB, Contrasto, Luminosità).

La caratterizazione invece fa riferimento alla seconda procedura che ci permette, al suo completamento, di generare un profilo per il nostro disposititivo.

 

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Perché calibrare il Monitor

Perché calibrare il monitor?

RISPOSTA SINTETICA

Bisogna calibrare il monitor per visualizzare le immagini in modo corretto.

Premessa

Di solito sono è mia abitudine fare delle analisi abbastanza tecniche, tuttavia in questo caso ho deciso di trattare questo argomento in modo più semplice, ma cercando ugualmente di chiarire alcuni punti importantissimi (e spero una volta per tutte) cercando quindi di far anche un po’ di chiarezza.

NOTA: almeno in prima battuta eviteremo di far distinzione tra calibrazione e profilazione.

 

La rete e l’informazione…

Navigando si legge di tutto, ma le affermazioni riportate di seguito sono state un ottimo spunto per la stesura di questo articolo.

“La sonda non serve a niente…
serve solo se stampi o se hai diversi schermi da allineare…
se il monitor è IPS ed è buono è già pre-calibrato in fabbrica…
basta mettere profilo standard sRGB…
inoltre con la sonda rischi che poi Windows non digerisce il profilo sonda
e vedi sul web in un modo e sul visualizzatore di windows in un altro…”

NOTA: è un post preso su FaceBook copiato ed incollato così com’è. Evito di citarne la fonte ed inserire uno screen sia per motivi legali ma soprattutto di educazione. Non è importante conoscere l’autore, ma capire invece il perché sia una raccolta unica di aberrazioni.

 

La sonda non serve a niente?

Quindi aziende come Datacolor e Xrite, colossi e leader del settore specializzati nella produzione di sonde per la calibrazione dei monitor, producono solo immondizia di difficile riciclaggio con relative attività destinate al fallimento?

Da non dimenticare che anche la blasonata Eizo, nei suoi monitor top di gamma, incorpora una sonda per la calibrazione.

Tanto basta per passar oltre.

 

Serve solo se stampi o se hai diversi schermi da allineare?

Cosa significherà mai allineare due o piu schermi?
Mi auguro non si riferisca al loro posizionamento fisico, perchè in tal caso io utilizzerei un metro da sarta.

Stampa?
La stampa lasciamola stare che è una cosa a se stante ed assai distante.

Per farla semplice, calibrare un monitor NON serve per avere dei colori “fedeli” in stampa, ma per averli correttamente riprodotti a video. Noi non stampiamo quello che viene proiettato a monitor.

Fate una prova: spegnete il monitor e mandate in stampa una foto o un documento… verrà una stampa nera?

Se vuoi approfondire l’argomento ti consiglio la lettura del seguente articolo:

Cos’è e come funziona la Soft Proof

 

Se il monitor è IPS ed è buono è già pre-calibrato in fabbrica?

Decidere la qualità di un monitor da una tecnologia costruttiva, quale quella IPS, è come dire che ogni macchina rossa sarà di certo una Ferrari.

Con IPS (In-Plane Switching) si fa riferimento ad una tecnologia LCD sviluppata da Hitachi nel 1996 per migliorare l’angolo di visione e la riproduzione dei colori dei pannelli TN (Twister Nematic). Niente di più, niente di meno.

Oggi quasi la totalità dei pannelli presenti sul mercato (per avanzamento tecnologico) sono IPS, ma per poter stabilire la qualità di monitor si dovranno valutare altre caratteristiche: gamut, accuratezza, contrasto, uniformità e tante altre.

Se vuoi approfondire l’argomento, e capire come scegliere al meglio il monitor per la fotografia, ti consiglio la lettura del seguente articolo:

Guida al Monitor per la Fotografia

Adesso ipotizziamo di aver acquistato un EIZO top di gamma da ben 10000€, torniamo a casa, e siccome abbiamo il miglior monitor al mondo (mica quello da 99,99€ del supermarket sotto casa) lo usiamo così com’è visto che viene venduto come già pre-calibrato.

Senza addentrarsi in discorsi troppo tecnici è importante capire che l’azienda produttrice fa una prima calibrazione al solo scopo di fornire al cliente un monitor con una correzione macroscopica delle varie derive cromatiche, dove in gergo si intende con un deltaE controllato.

Tuttavia la fase di calibrazione e profilazione, che sono due operazioni ben distinte, non possono prescindere dalla pre-calibrazione di fabbrica.

 

Basta mettere profilo standard sRGB?

Sarei in prima battuta curioso di capire dove vada impostato!?!?!?

Ma soprattutto, se acquistassi un monitor Wide Gamut ovvero con copertura superiore all’sRGB e tipicamente sull’ordine del 100% dell’AdobeRGB 1998, per quale malsano motivo dovrei impostare sRGB e buttar via tutti i soldi spesi per un monitor professionale?

Presuppongo che anche qui non serva aggiungere altro, e vedremo in un articolo dedicato come calibrare in modo corretto un monitor, e dove impostare i profli colore per esso generato.

 

Inoltre con la sonda rischi che poi Windows non digerisce il profilo sonda e vedi sul web in un modo e sul visualizzatore di windows in un altro…

Windows, in effetti, per quanto concerne la gestione del colore ha dei meccanismi non propriamente lineari.
Tuttavia il problema è nostro se non sappiamo dove e come impostare correttamente i profili.
Per di più il visualizzatore di Windows, non essendo Color Management, non andrebbe mai utilizzato!

Se volete approfondire la tematica basta leggere agli articoli precedenti dove ho risposto ampiamente a queste domande.

 

Quindi dopo tutta questa chiacchierata???

Il monitor deve esser calibrato e profilato, sempre.

Queste procedure servono per far si che i colori contenuti nelle nostre immagini vengano rappresentati in modo corretto dal nostro dispositivo.

Se sei giunto fin qui… non puoi perderti la lettura del seguente articolo!

Guida alla Calibrazione del Monitor

 

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Browser per la fotografia

I browser e le piattaforme sono tutte uguali?

RISPOSTA SINTETICA

Assolutamente NO.

Alcuni browser e piattaforme potrebbero “non gestire” i profili ICC.

Partiamo dalle basi…

Devo ammettere che la situazione non è sicuramente tra le più semplici e lineari, ma spesso la “colpa” di problematiche simili risiedono proprio nell’utilizzo poco oculato degli strumenti.

 

Perché incorporare il profilo colore?

A questa domanda abbiamo già risposto nei precedenti articoli.

 

Perché usare il profilo sRGB?

Le motivazioni possono essere molteplici:

il W3C stabilisce che lo spazio colore sRGB sia da riferimento per le pagine web
alcune piattaforme “sostituiscono” il profilo colore incorporato con un “loro” profilo assai simile a quello di riferimento sRGB (vedesi C2 usato da Facebook)
se una piattaforma dovesse eliminare il profilo colore si corrono rischi minori in quanto i browser dovrebbero assumere come riferimento il profilo sRGB (situazine non sempre vera e dipndente dal browser utilizzato)

 

Come verificare se la piattaforma usata mantiene, sostituisce o elimina il profilo colore?

Ci rechiamo sulla piattaforma da prendere in esame e carichiamo un’immagine con un profilo colore incorporato molto ampio come il ProPhoto.

Successivamente visualizziamo e scarichiamo l’immagine appena caricata.

Adesso apriamo l’immagine scaricata con un Software Color Managed (Adobe Bridge) ed andiamo a leggere nel tag del profilo incorporato.

Possono presentarsi le seguenti tre situazioni:

ha come profilo colore ProPhoto: la piattaforma mantiene il profilo
ha come profilo colore un qualsiasi sRGB (o in genere qualcosa di diverso da ProPhoto): la piattaforma sostituisce o converte nel profilo
non ha un profilo colore: la piattaforma elimina il profilo

TENERSI ALLA LARGA DAL TERZO SCENARIO!

 

Il browser utilizzato è Color Managed?

Da quanto appena visto è quindi fondamentale l’utilizzo di un browser Color Managed.
Ad oggi mi sento di consigliare i seguenti browser:

Firefox
Safari
Google Chrome

 

C’è un modo per testare il Browser?

Fortunatamente esistono dei sistemi appositi in grado di testare la capacità di gestire il colore dei nostri browser.

Qui un elenco di alcune pagine utili:

https://kornel.ski/en/color
http://cameratico.com/tools/web-browser-color-management-test/

 

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Esportare le immagini per il web

Come esportare le immagini per il web?

RISPOSTA SINTETICA

Formato: JPG o PNG

Profilo colore: sRGB

Dimensione in pixel: dipende dalla piattaforma

Peso in MegaByte: dipende dalla piattaforma

Partiamo dalle basi…

Di norma possiamo identificarci in almeno una delle seguenti situazioni:

siamo all’interno di Adobe Camera RAW o Lightroom e NON useremo Photoshop (quindi non è stato ancora associato nessun profilo colore alla nostra immagine)
siamo all’interno di Photoshop, o un qualsiasi altro editor, ed abbiamo già associato un profilo colore (come ad esempio ProPhoto RGB rigorosamente a 16 bit)

A prescindere che ci si identifichi nel primo o nel secondo caso, non siamo ancora pronti per poter pubblicare la nostra immagine sul web.

Più precisamente:

nel primo caso non abbiamo ancora incorporato un profilo colore
nel secondo invece abbiamo un profilo colore incorporato, ma l’immagine è esageratamente grande
in entrambi i casi non è detto che il formato dell’immagine sia quello adatto per una pubblicazione

 

Quali formati vengono letti dalle piattaforme web?

Per la pubblicazione delle nostre immagini sul web possiamo utilizzare sia il formato JPG che quello PNG, in base alle nostre esigenze e quelle della piattaforma.

 

Quando vale la pena usare il PNG rispetto al JPG?

Tutto dipende dal tipo di immagine e dal suo utilizzo.
Tecnicamente però ci sono alcuni dati da tener conto.

Il PNG:

è un formato senza perdita
può avere parti in trasparenza (logo o firma)
supporta 24bit RGB e RGBA a 32bit

Questo formato è particolarmente indicato per elementi grafici e loghi, oppure delle immagini dove non si vuol scendere a compromessi da un punto di vista qualitativo.
Ovviamente lo scotto da pagare sarà quello di avere dei file assai più pesanti.

Il JPG:

è un formato con perdita
possiamo decidere la compressione/qualità (da 0 a 100)

Questo formato invece è sicuramente più versatile e snello grazie alla possibilità di poter scegliere la qualità di esportazione, e di conseguenza per meglio adattarsi a quelle piattaforme dove possono esser presenti dei limiti di peso espliciti o impliciti.

 

Quale profilo colore deve avere un’immagine per il web?

Le immagini per la pubblicazione sul web è bene che vengano convertite in sRGB incorporando il profilo colore.

Come potrete leggere più avanti, non vi deve minimamente spaventare il fatto che stiate lavorando le vostre fotografie in ProPhoto RGB per poi postarle in sRGB.

 

Qual è la dimensione ottimale in pixel per le immagini sul web?

Non c’è un riferimento assoluto e può dipendere sia dalla finalità d’uso dell’immagine che dalla piattaforma usata.

Tuttavia possiamo prendere come riferimento i seguenti tre casi attualmente di maggior interesse:

Facebook (post) da 960px a 2048px (lato lungo)
Facebook (storia) verticale 1080px X 1920px
Instagram (post) nel formato quadrato 1080px
Instagram (storia) verticale 1080px X 1920px
Sito web personale non abbiamo vincoli ma è ragionevole ipotizzare che andare oltre i 2048px (ad oggi) non porti un reale beneficio per la visualizzazione dei contenuti a meno di utilizzi speciali come banner o sfondi

NOTA: per verificare tutte le possibili dimensioni accettate si consiglia di controllare nelle line guida del portale di riferimento

 

Il segreto per avere delle buone immagini sul web è farsi piccoli!

Esattamente! E se ci pensate un attimo, è anche logico!

Farsi piccoli significa rendersi digeribili (rispolverando qualche termine culinario :P).

Più concretamente accadranno le seguenti trasformazioni:

ProPhoto RGB (origine) > sRGB (destinazione)
16 bit (origine) > 8 bit (destinazione)
RAW/TIF (origine) > JPG/PNG (destinazione)
6000px (origine) > 1640px (destinazione) (i valori in pixel sono a solo titolo di esempio)

 

Esportazione JPG con Adobe Camera RAW

 

Esportazione JPG con Lightroom

 

Esportazione JPG con Photoshop (Salva per Web CTRL+ALT+SHIFT+S)

 

Esportazione PNG con Photoshop (Salva per Web CTRL+ALT+SHIFT+S)

 

Esportazione JPG con Photoshop (Esporta come CTRL+ALT+SHIFT+W)

 

Esportazione PNG con Photoshop (Esporta come CTRL+ALT+SHIFT+W)

 

Riflessioni sul peso in megabyte delle nostre immagini

Volevo infine concludere mettendo un particolare accento su queste due problematiche:

se vogliamo manatenere un peso contenuto ed un alto fattore di qualità, il valore dei pixel deve essere tendenzialmente basso o moderato
immagini troppo pesanti (megabyte) potrebbero rendere il sito web lento e poco fruibile
immagini troppo grandi (pixel) per rientrare in un peso accettabile (megabyte) potrebbero subire una forte compressione pregiudicando il fattore qualità
immagini troppo pesanti e/o grandi potrebbero venir compresse dalla piattaforma in uso (vedesi alcuni plug-in per accelerare le pagine web in WordPress o anche dagli stessi algoritmi di Facebook)
se vogliamo evitare che la nostra immagine possa esser utilizzata da terzi per scopi commerciali (illeciti), il valore dei pixel deve essere tendenzialmente basso o moderato

NOTA: io personalmente utilizzo un lato lungo di 1640px con un peso attorno agli 800kB sia per l’utilizzo sui social che sul sito web

 

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Visualizzare i colori in modo corretto

Come visualizzare i colori in modo corretto?

RISPOSTA SINTETICA

Visualizzare le immagini con software CM come Adobe Bridge o ACDSee e NON usare mai i visualizzatori standard di Windows/Mac.

Calibrare e profilare correttamente il monitor.

Partiamo dalle basi…

Quando un’immagine viene visualizzata con dei colori e/o contrasti “errati”, dobbiamo iniziare a porci delle domande ben specifiche e cercare di risolvere questo delicatissimo problema.

 

Il formato utilizzato può incorporare un profilo ICC?

A questa domanda rispondiamo in modo lapidario segnalando che solo il BMP non permette di incorporare un profilo ICC, e quindi totalmente da scartare per un utilizzo professionale.

 

La nostra applicazione riconosce e gestisce la presenza di un profilo ICC?

Le applicazioni si possono dividere in due categorie:

Color Management: leggono correttamente il profilo ICC incorporato restituendo una visualizzzazione corretta
NON Color Management: non leggono il profilo ICC incorporato restituendo una visualizzazione falsata

 

Cosa accade quando si usa un’applicazione NON Color Management?

Non mettiamoci in situazioni scomode e pericolose, perché il risultato dipenderà dalle logiche di funzionamento del software usato.

NON USATE MAI VISUALIZZATORI NON COLOR MANAGEMENT!

 

Quali visualizzatori Color Management usare?

Io personalmente uso Adobe Bridge ed ACDSee.

Il primo semplicemente perchè è gratis e compreso nel pacchetto fotografico proposto dalla Adobe, mentre il secondo perchè è uno strumento completo.

 

Cosa accade quando un’immagine non incorpora un profilo ICC ma il nostro visualizzatore è Color Management?

Partiamo da un presupposto fondamentale: non dobbiamo mai avere delle immagini senza un profilo colore incorporato.

Tuttavia se si dovesse verificare una situazione simile, l’applicazione in questo caso può:

fare una compensazione a monitor usando un profilo di default o quello del monitor stesso
non fare un compensazione e mandare in output esattamente gli stessi valori RGB del file

Che tradotto significa non avere minimamente la certezza di visualizzare qualcosa di “corretto”.

La soluzione quindi sarebbe quella di ricercare per tentativi il profilo perso, ed incorporarlo così come visto in uno degli articoli precedenti.

 

Se il file ha un ICC incorporato, ed il software di visualizzazione è CM, sono a posto?

No.

Per avere una corretta riproduzione di un immagine a monitor è necessario fare una conversione colore dal profilo dell’immagine (origine) al profilo del monitor (destinazione), e viene chiamata compensazione a monitor.

La conversione viene effettuata in modo automatico dal software utilizzato per la visualizzazione, ed avrà esito positivo se:

l’immagine ha un profilo ICC incorporato
al monitor sia associato un profilo ICC (ottenuto tramite il processo di calibrazione e profilazione)
il software di visualizzazione sia CM (ovvero in grado di “rispettare” i profili ICC di origine e destinazione quali immagine e monitor) in modo da poter effettuare una corretta conversione del colore (con un determinato intento di rendering)

 

CALIBRAZIONE E PROFILAZIONE DEL MONITOR

A questo punto abbiamo iniziato ad intuire che anche le fasi di calbrazione e profilazione sono necessarie e per poter visualizzare i colori in modo corretto.
Avremo quindi modo di approfondire queste tematiche nei prossimi articoli.

 

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Il profilo colore del RAW

Qual è il profilo colore del RAW?

RISPOSTA SINTETICA

Nesuno.

Il RAW, fortunatamente, non ha nessun profilo colore.

Partiamo dalle basi…

Cerchiamo di fare chiarezza e partiamo dal principio.

Quando fotografiamo con le nostre relfex, mirrorless, bridge, compatte o smartphone che sia, abbiamo di norma la possibilità di scegliere il formato digitale delle nostre immagini.

Tra i formati più comuni ed usati abbiamo sicuramente il JPG ed il RAW (dove per raw si intenderà tutta una famiglia di file).

Il profilo colore sarà quindi incorporato o meno in base a quale dei due formati si starà utilizzando.

 

Cosa accade quando scattiamo in JPG?

Quando si sceglie di scattare in JPG, proprio perchè si sta utilizzando un formato già “cucinato”, esso avrà necessariamente un profilo colore incorporato.

Più precisamente il profilo incorporato sarà quello presente nelle impostazioni della nostra macchina fotografica (come ad esempio sRGB o AdobeRGB1998).

 

E quando scattiamo in RAW?

Quando scattiamo in RAW abbiamo un file “crudo” dove la cottura, assieme a tutti i sali e le spezie, sarà a nostra totale discrezione… compreso il profilo colore!

Insomma, io ho sempre immaginato il JPG come i “4 Salti in Padella“, ed il RAW come la “nonna massaia” che con tanta cura e premura ci prepara un banchetto domenicale.

 

Il RAW è materia grezza, e come tale non ha un profilo colore incorporato.

Questa affermazione ci dice molto altro:

● un RAW  “esprime un gamut” (insieme dei colori rappresentabili) non dipendente da un profilo e/o spazio standard ma dalle caratteristiche della periferica di acquisizione (sistema sensore+adc+dsp)

● un RAW  “quando aperto” in Adobe Camera RAW, Lightroom, CaptureOne o altri software, rimane ancora privo del profilo colore

● un RAW  “quando convertito” in un formato JPG/PNG/TIF/PSD/PSB, solo adesso avrà associato il profilo colore opportunamente scelto

 

È sempre necessario asegnare ed incorporare il profilo colore?

Dopo aver aperto e sviluppato il RAW, ci troveremo dinanzi ad un bivio:

● Lavoro ultimato: esportare il risultato ottenuto nel formato che meglio si desidera facendo click su Salva immagine…
● Lavoro da ultimare: continuare la fase di post-produzione in Photoshop facendo click su Apri immagine

In entrambi i casi sarà necessario assegnare ed incorporare un profilo colore.

La procedura esatta dipenderà dal software in uso.

Nel nostro caso vedremo quelle di Adobe Camera RAW, ma in modo analogo troverete le medesime impostazioni anche in Lightroom e software affini.

 

Profilo colore per l’esportazione?

Nel caso in cui si decidesse di passare alla fase di esportazione, che essa avvenga in Lightroom o Camera RAW poco importa, si dovranno scegliere dei parametri opportuni e dipendenti dalle finalità d’uso dell’immagine (facebook, instagram, sito web, stampa chimica, stampa fine art, etc).

Proprio per questo motivo si tratterà la tematica in uno dei prossimi articoli.

 

Profilo colore per la Post-Produzione?

Se invece si volesse proseguire con la fase di post-produzione all’interno di Photoshop, per decidere quale profilo colore associare, basterà cliccare sulla zona evidenziata di rosso e si aprirà una schermata come quella mostrata in figura.

 

 

A questo punto basterà impostare lo spazio ritenuto opportuno.

 

Ma quale spazio colore utilizzare tra ProPhoto, AdobeRGB1998 ed sRGB?
Scegliere una profondità ad 8 bit  o 16 bit?

Queste domande meritano una risposta chiara ed argomentata, rimandiamo quindi il tutto ad uno dei prossimi articoli.

 

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