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Simulazione del punto di bianco

Simulazione del punto di bianco

RISPOSTA SINTETICA

PUNTO DI BIANCO: visualizzare l’alterazione cromatica introdotta dal bianco della carta o della periferica

Premessa

Prima di proseguire vi consiglio di aver letto i precedenti articoli:

Scelta del profilo colore per la stampa
Conversione del profilo colore per la stampa
Conversione ed intenti di rendering
Compensazione del punto di nero

 

Cos’è la simulazione del punto di bianco

Il punto di bianco può esser inteso come quel punto in cui si raggiunge la massima luminosità e la minima quantità di colore di un determianto spazio colore, dove immaginando questo spazio nella sua versione 3D con una forma simile ad una piramide o cono, potremmo definire il punto di bianco come il suo vertice.

Per semplicità analizzeremo lo spazio 2D, assimilabile come sezione della sua versione 3D.

Parlando di compensazione del punto di bianco in una conversione, dobbiamo quindi prendere in considerazione due spazi: uno sorgente e uno di destinazione.

Come spazio sorgente prendiamo quello sRGB e con punto di bianco pari a 6500K (ad esempio come quello utilizzato per la calibrzione e profilazione del monitor).

Mentre come spazio di destinazione prendiamo uno spazio descritto da un profilo carta che, per semplicità, abbiamo ipotizzato morfologicamente identico ad sRGB ma con un punto di bianco dipendente dalla carta.

Applicando la simulazione del punto di bianco si avrà letteralmente una deformazione dello spazio.

Più precisamente il punto di bianco dello spazio sorgente verrà trascinato nella posizione del punto di bianco dello spazio di destinazione, producendo un’alterazione della posizione di tutti i punti presenti nel suo intorno.

Così facendo viene replicato il punto di bianco dello spazio di destinazione potendo visualizzarne l’eventuale alterazione cromatica introdotta dal bianco della carta o della periferica.

NOTA: per semplicità gli spazi sono stati riportati nella loro forma bidimensionale, ma in uno dei prossimi articoli verranno analizzati anche in 3D!

 

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Compensazione del punto di nero

Compensazione del punto di nero

RISPOSTA SINTETICA

La compensazione del punto di nero serve per ottimizzare la dinamica dei toni scuri

Premessa

Prima di proseguire vi consiglio di aver letto i precedenti articoli:

Scelta del profilo colore per la stampa
Conversione del profilo colore per la stampa
Conversione ed intenti di rendering

 

Cos’è la compensazione del punto di nero

La compensazione del punto di nero è un’opzione fornita dagli intenti di rendering, fatta eccezione per quello del colorimetrico assoluto, e nasce per ottimizzare la dinamica dei toni scuri nel momento in cui il dispositivo di destinazione non sia in grado di riprodurre un nero puro (come ad esempio un sistema stampante/supporto).

Di solito possiamo trovarla tra i parametri di conversione, quelli di una soft proof o anche quelli di stampa.

 

Come funziona la compensazione del punto di nero

In buona sostanza, la compensazione del punto di nero (BPC), ci fornisce la possibilità di preservare i dettagli nei toni scuri rendendo non lineare la risposta dei toni scuri in uscita alla conversione.

In questo caso abbiamo un intento che non applica la compensazione del punto di nero:

In questo invece un intento che applica la compensazione del punto di nero:

Mettendo quindi a confronto i due output possiamo notare che:

senza la compensazione del punto di nero si ha una perdita di informazioni nei toni scuri che non sono riproducibili (clipping)
con la compensazione del punto di nero si ha una ridistriubuzione dei toni riproducibili (espansione)

NOTA: in uno dei prossimi articoli vedremo come replicare queste operazioni mediante l’uso delle curve.

 

A cosa serve la compensazione del punto di nero

Se siete arrivati fin qui, ma non avete ancora intuito come sfruttare al meglio questa benedetta compensazione del punto di nero, significa che qualcosa vi è sfuggito nella lettura dei precedenti articoli!
Quindi, per porre rimedio, vi consiglio di fare un bel ripasso partendo da questo articolo:

La stampa è diversa dal monitor

Se state invece pensando al suo utilizzo per effettuare una soft proof, ma non solo, allora siamo pronti per il prossimo articolo dove parleremo della simulazione del bianco della carta!

 

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Guida al Computer per Photoshop e Lightroom

Come scegliere un Computer per Photoshop e Lightroom

RISPOSTA SINTETICA

CPU: alte prestazioni in single thread

RAM: minimo 16GB con alte frequenze e basse latenze

GPU: in base al budget e con almeno 4GB

SSD: PCIe NVMe

Premessa

In questo articolo vedremo di sfatare, e mi auguro una volta per tutte, alcuni dei miti che si dimostrano particolarmente controproducenti per il nostro specifico interesse.
Ci tengo anche a precisare che da ingegnere, ancor prima che fotografo, in contesti come questo solo i numeri devono aver voce in capitolo.
Non le chiacchiere.

Buona lettura!

 

Componenti

Per configurare al meglio la nostra piattaforma, pc o mac non cambia nulla, faremo un’analisi puntuale dei singoli componenti:

CPU (processore)
RAM (memoria)
GPU (scheda video)
SSD (disco fisso)

 

CPU

FALSO MITO: “Un processore con più core sarà più prestante di uno con meno core”.

Prima di poter snocciolare ben benino questo punto, bisogna subito chiarire le differenze tra i termini processore, core e thread.

Come sempre, per semplificarmi la vita, cerco di fare dei paragoni culinari (dove siamo tutti più che ferrati) in modo da capire velocemente la questione.

Immaginiamo una situazione come la seguente:

siamo in un ristorante (il computer)
ci sarà una cucina (la cpu)
ci sono dei cuochi (i numero di core per ogni cpu)
ci sono dei camerieri ( i numero dei thread per ogni core)
ed infine ci siamo noi (il software)

Ora immaginiamo di sederci al tavolo ed effettuare un ordine con primo, secondo, contorno dolce e frutta.
In cucina arriverà una comanda contenente tutte le portate ordinate, ed essendoci anche una buona quantità di personale (1 cucina/cpu – 8 cuochi/core – 8 camerieri/thread), si potrebbe tranquillamente garantire un servizio al tavolo di tutte le portate contemporaneamente.

Però noi siamo il software… quante portate riusciamo a mangiare contemporaneamente?

Ed è così che si concludono i giochi.
Se un software è scritto per poter gestire un flusso di operazioni sequenziali, e non parallele, avere 1 cucina con 8 cuochi ed 8 camerieri sarà la medesima cosa che avere 1 cucina 1 cuoco ed 1 cameriere.

Di fati le portate (operazioni richieste) rimarranno sul tavolo (nella memoria) fino a quando non avrò finito la prima (esecuzione sequenziale delle operazioni).

Photoshop è come noi.

A questo punto solo due cose potranno esser rilevanti per il servizio al tavolo:

la velocità (la frequenza di clock della cpu)
la gestione ed organizzazione (la tecnologia della cpu)

Tutto il resto è fuffa.

Ad esser più precisi, in particolari contesti come nell’utilizzo di alcuni filtri, si riesce a sfruttare il sistema multi-core.
Tuttavia sono situazioni poco impattanti nello scenario complessivo per un utilizzo fotografico.

Allo stesso modo Lightroom, fatto esclusione per le operazioni di esportare e generazione delle anteprime, dove riesce a sfruttare meglio il sistema multi-core.

Possiamo quindi concludere che in genere avere un numero maggiore di cpu/core/thread non porta reali benfici (se non in minima parte), mentre sarà fondamentale avere delle frequenze elevate ed architetture efficienti (più recenti).

NOTA: spendete tutto quello che potete sulla CPU perchè sarà responsabile della reale velocità del vostro computer!

 

RAM

FALSO MITO: “Un aumento della memoria ram renderà il computer più veloce”.

Fermi tutti.

La RAM è una memoria: non esegue calcoli!
La CPU esegue calcoli.
Quindi un quantitativo maggiore di memoria ram non può fisicamente produrre una maggior velocità.

Tuttavia, qualora il quantitativo di ram risultasse sottodimensionato, si potrebbero verificare dei rallentamenti o addirittura dei blocchi.
Di fatti, il sistema inizierà ad usare lo spazio del disco come memoria tampone per impedirne il blocco, pagandone lo scotto di un forte rallentamento dovuto alla velocità intrinseca della memoria del disco notevolmente inferiore a quella della ram.

Quindi sarà importante assicurare una buona quantità di ram al vostro sistema in modo da evitare fenomeni di questo tipo, che in gergo viene chiamato SWAP.

Ad oggi consiglio un minimo di 16GB di ram con la frequenza più elevata possibile e con latenze piu basse possibili.

NOTA: ovviamente prendete sempre ram di qualità e con dei buoni sistemi di raffeddamento visto che il calore può compromettere sia l’affidabilità che la velocità delle stesse.

 

GPU

FALSO MITO: “Photoshop e Lightroom vogliono schede video potenti”.

Purtroppo, ad oggi, sia Photoshop che Lightroom hanno la possibilità di abilitare il supporto per l’accelerazione grafica tramite GPU, ma concretamente solo alcuni strumenti e filtri sfruttano a pieno il motore grafico.

Questo si traduce in una vera e propria limitazione sulla reale sfruttabilità delle GPU, rendendo di fatti una scheda video da 1000€ solo il 5% più potente di una da 100€.
Quindi vi consiglio l’acquisto di una scheda di buona qualità senza puntare a quelle di top gamma, ma con almeno 4GB dedicati in modo da poter gestire agevolmente anche monitor 4K.

Per quanto riguarda invece l’utilizzo dei 10bit bisogna sapere che solo Photoshop è in grado di gestirli, a patto che abbiate delle schede video professionali come le nVidia Quadro o le ATI FirePro.

Queste schede normalmente hanno costi decisamente superiori, e si differenziano per le seguenti caratteristiche:

sandard elevati per il controllo qualità
chip selezionati per memorie e gpu
driver certificati

Tutto questo si traduce in un costo decisamente superiore a parità di prestazioni rispetto ad una normale scheda video per uso consumer.

Una buona notizia però arriva da nVidia, che rilasciando alcuni driver dedicati per le prorpie schede video, ha dato modo di abilitare i 10bit anche sulle schede non Quadro, permettendo così un notevole risparmio economico.

NOTA: a parità di rapporto costo/prestazioni si consiglia una scheda da gaming per un utilizzo dedito anche al video editing.

 

SSD

FALSO MITO (ma non del tutto): “Avere un SSD è fondamentale”.

Si, ma dobbiamo chiarire alcuni aspetti.

Spesso si pensa che l’uso di un SSD (Solid State Disk), rispetto ai classici HD (Hard Disk) meccanici, possa garantire delle alte prestazioni al vostro computer.
Ebbene, questa è una mezza verità.

Per capire meglio a cosa mi riferisco, riporto in modo estremamente esemplificato ed approssimato, quello che accade nel nostro computer:

APERTURA di un file Photoshop o catalogo Lightroom con lettura dal DISCO
FINE APERTURA i dati più importanti vengono allocati nella memoria RAM (molto più veloce del disco fisso)
MODIFICHE i dati vengono letti/scritti dalla/nella memoria ram ed elaborati dalla CPU e GPU
SALVATAGGIO i dati vengono letti dalla ram e scritti nel DISCO

Possiamo facilmente intuire che ogni fase ha la sua criticità, ed un disco con elevate prestazioni ci permetterà di avere tempi brevissimi per caricamenti o salvataggi, ma non renderà un computer necessariamente più veloce durante le nostre modifiche.
Ad esser più precisi un po’ lo diventerà ugualmente perchè vi sono delle letture e scritture su disco anche durante le operazioni di modifica, ma tralasciamo per adesso questo aspetto.

Alla luce dei fatti il mio consiglio è quello di prendere assolutamente un disco SSD con tecnologia PCIe NVMe, perchè sarà l’intero sistema che dovrà garantire delle elevate prestazioni, e non vorremo mai che il nostro disco faccia da collo di bottiglia!

NOTA: l’uso del disco diventa più intensivo, e quindi rilevante, con cataloghi o file molto grandi, dove non tutti i dati vengono caricati in ram.

 

Diamo retta ai numeri… non alle chiacchiere!

Voglio concludere segnalandovi alcuni link che reputo particolarmente preziosi.

In questo link abbiamo una lista delle migliori CPU per l’uso di Photoshop e Lightroom.

Top CPU per Single Thread

In questo link abbiamo una lista delle migliori CPU per l’uso sia di Photoshop che di Lightroom, ma con priorità verso la computer-grafica ed il video.

Top CPU per Multi Thread

In questo link abbiamo i test sull’hardware di fascia alta per Photoshop.

Top hardware per PHOTOSHOP

In questo link abbiamo i test sull’hardware di fascia alta per Lightroom.

Top hardware per LIGHTROOM

 

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Guida al Monitor per la Fotografia

Come scegliere un Monitor per la Fotografia

RISPOSTA SINTETICA

Leggi l’intero articolo.

Premessa

In questo articolo non si cercherà minimamente di vendere né il monitor della marca X, né quello della marca Y.

Non ho affiliazioni, accordi commerciali o quant’altro, ed il solo intento è quello di fornire delle informazioni corrette con le quali autonomamente ragionare sulla scelta del monitor fotogtafico.

Premetto anche che cercherò di semplificare il più possibile la trattazione, senza però far mancare le doverose disamine tecniche utili ad innescare delle importanti riflessioni.

Buona lettura!

 

Cosa valutare

Per scegliere al meglio il nostro monitor fotografico, andremo ad analizzare i seguenti aspetti:

Tecnologia
Rivestimento
Angolo di visione
Fattore di forma
Dimensioni
Numero di Pixel e PPI
Numero di bit
Gamut
DeltaE medio
LUT
Contrasto e Luminosità
Illuminazione
Latenze

 

Tecnologia

Domanda ricorrente: “Se un monitor ha un pannello IPS, è valido per uso fotografico?”

Questa domanda, che al più delle volte viene posta in forma affermativa, suona un po’ come: “Ma un mezzo con quattro ruote di color rosso, è una Ferrari?”

Ovviamente, anche se i presupposti sono validi, non possiamo di certo aver una certezza.

Tuttavia un fondo di verità lo ritroviamo semplicemente analizzando le varie caratteristiche delle tecnologie attualmente utilizzate.

TN (Twisted Nematic)

dove tutto ebbe inizio
tipologia di pannello più comune
si basa sulla polarizzazione dei cristalli liquidi
tempi bassi di risposta, refresh rate ed input lag (veloci)
angoli di visione poco ampi
scarsa accuratezza cromatica rispetto ad altre tecnologie

VA (Vertical Alignment)

è sbagliato dire che sia una tecnologia a metà strada tra TN ed IPS
non eccelle in nulla di realmente utile, tranne alcuni casi particolari con elevati valori del contrasto statico

IPS (In-Plane Switching)

ultima tecnologia presente sul mercato
i cristalli rimangono sempre paralleli
alti tempi di risposta, refresh rate ed input lag (lenti)
angoli di visione molto ampi
migliore accuratezza cromatica rispetto ad altre tecnologie

Quindi sicuramente alcune tecnologie saranno più indicate per un uso fotografico, ma così come non possiamo dire che tutte le auto rosse sono delle Ferrari, allo stesso modo possiamo dire che non tutti i monitor con pannelli IPS sono dei buoni monitor per uso fotografico.

 

Rivestimento

Domanda riorrente: “Monitor lucido o opaco?”

Il rivestimento superficiale del pannello, benchè possa essere in parte anche una questione soggettiva, ci pone tuttavia dinanzi a problematiche oggettive.

Di fatti se una finitura lucida potrebbe rendere i contenuti particolarmente attraenti per finalità multimediali, per un fotografo potrebbe rivelarsi particolarmente scomoda soprattutto per la gestione dei riflessi.

Posso quindi sicuramente consigliarvi un monitor che abbia un pannello con finitura opaca.

Non a caso, tutti i monitor professionali, oltre ad una finitura opaca hanno anche specifici trattamenti anti riflesso.

 

Angolo di visione

L’angolo di visione (orizzontale e/o verticale) ci fornisce il limite espresso in gradi entro il quale viene garantita una visione ottimale, dove per ottimale si intende un peggioramento del contrasto e della luminosità non superiore ad un determinato rapporto rispetto alla visione frontale.

Quindi dato che ogni azienda stabilisce un rapporto di deterioramento in modo del tutto arbitrario (o quasi), presi due monitor con pari angolo di visione si avranno due comportamenti differenti.

Fortunatamente per un uso fotografico, considerando di lavorare in una posizione frontale, questo paramentro potrebbe risultare quasi superfluo.

Ovviamente angoli di visione tra i 160° e 180° sono sicuramente ben graditi.

 

Fattore di forma

Domanda ricorrente: “Ma perchè devo prendere un monitor 16:9 o 16:10 se le fotografie sono 3:2?”

Il fattore di forma, o anche chiamato aspect ratio, non è altro che il rapporto tra la dimensione orizzontale e quella verticale.

Ad oggi considero quasi fondamentale l’uso di monitor con rapporti simili al 16:9 o 16:10 per il solo fatto che offrono la possibilità di visualizzare per intero l’immagine sulla quale si lavora, che sono per l’appunto generalmente 3:2, ed allo stesso tempo ci lasciano delle bande laterali libere per collocare gli strumenti di sviluppo ed editing presenti nei vari software come Lightroom e Photoshop.

Quindi la scelta ricade su questi monitor per un semplice fatto di comodità.

 

Dimensioni

Domanda ricorrente: “Quanto contano le dimensioni di un monitor?”

Per voi che avete sempre dato importanza alle dimensioni… tranquilli! Almeno in questo caso, posso garantirvi, che non contano nulla!

La dimensione generalmente espressa in pollici, e misurata come lunghezza della diagonale, deve esser valutata in correlazione ad altri aspetti tecnici.

Quindi è sbagliato definire un monitor da 32″ migliore rispetto ad uno da 27″ solo in virtù della sua dimensione.
Sarebbe un po’ come dire che un’auto esteticamente più grande sarà sicuramente migliore rispetto ad una più piccola.

Uno dei fattori fondamentali sarà la distanza di visualizzazione, e quindi implicitamente anche dallo spazio che avremo sulla scrivania.

Vi lascio qui sotto una breve corrispondenza dove poter valutare la dimensione che meglio si adatta alle vostre esigenze:

24″ distanza minima consigliata 38cm
25″ distanza minima consigliata 40cm
27″ distanza minima consigliata 43cm
32″ distanza minima consigliata 51cm

La distanza minima consigliata è calcolata tenendo conto del campo visivo umano (circa 140° orizzontali).

E quindi tale distanza servirà per garantire la visione completa della superifcie del monitor, in modo agevole, e senza dover girare continuamente la testa.

 

Numero di Pixel e PPI

Domanda ricorrente: “Quale risoluzione deve avere un buon monitor? È meglio prendere un 4K?”

Comunemente viene usato il termine “risoluzione” per indicare da quanti pixel orizzontali e verticali è composta la matrice del pannello del nostro monitor.
Tuttavia è un uso improprio del termine visto che trattasi semplicemente di un numero di pixel senza nessuna unità di misura (valore adimensionale).

La risoluzione è identificata dal valore dei PPI (pixel per pollice lienare), e si può calcolare tramite la formula seguente:

√(pixel orizzontali² + pixel verticali²)/diagonale in pollici

Detta diversamente, il numero di PPI, ci restituisce indirettamente quanto sono grandi (o piccoli) i pixel del nostro monitor:

più sarà grande il valore dei PPI, più i pixel sono piccoli
più sarà piccolo il valore dei PPI, più i pixel saranno grandi

ricordandoci che se il valore di PPI molto elevato può esser utile per la visualizzazione dei contenuti multimediali, potrebbe invece esser scomodo per la lettura dei caratteri e quindi per uso professionale/lavorativo.

Ipotizziamo allora di scegliere tre monitor con 3840×2160 pixel (quindi 4K), ma rispettivamente con tre dimensioni differenti:

4K su 24″ avremo 183,58 PPI con caratteri molto piccoli e difficili da leggere
4K su 27″ avremo 163,18 PPI con caratteri molto piccoli ma leggibili
4K su 32″ avremo 137,68 PPI con caratteri ben leggibili

allo stesso modo prendendo un monitor con 2560×1440 pixel (quindi 2K) avremo:

2K su 24″ avremo 122,38 PPI con caratteri molto piccoli ma leggibili
2K su 27″ avremo 108,79 PPI con caratteri ben leggibili
2K su 32″ avremo 91,79 PPI con caratteri tendenzialmente grandi

Se da una parte un elevato valore di PPI può portare un beneficio sulla fruizione dei contenuti multimediali, dall’altra porterà un maggior affaticamente della vista nel caso in cui l’uso previsto richieda la lettura di testi (come anche nell’uso degli strumenti di post produzione).

Quindi il mio consiglio è quello di rimanere tra un valore minimo di 100 PPI ed un valore massimo di 150 PPI.

NOTA: io personalmente lavoro con un monitor 27″ a circa 45cm di distanza con 2560×1440 pixel (2K) con 108,79 PPI, e mi trovo divinamente.

 

Numero di bit

Domanda ricorrente: “Quanti bit deve avere il monitor? Servono i 10 bit?”

I monitor LCD, essendo dispositivi digitali, utilizzano un insieme di bit per rappresentare le immagini.
Generalmente quindi si parlerà di profondità di bit e/o profondità colore, dove all’aumentare del numero di bit usati aumenterà anche la quantità di sfumature riproducibili.

È importante avere a mente, che nella logica binaria, per ogni bit utilizzato si avrà un raddoppio delle informazioni e quindi delle sfumature rappresentabili.

Per calcolare il numero di colori rappresentabili con un determinato numero di bit, e posta una rappresentrazione RGB, basterà applicare la seguente formula:

numero di colori = (2bit)3

In commercio possiamo trovare monitor con:

6 bit (circa 262 mila colori)
6 bit + 2 FCR
8 bit (circa 16,7 milioni colori)
8 bit + 2 FCR
10 bit (circa 1,07 miliardi colori)
12 bit (circa 68,7 miliardi di colori)

L’acronimo FCR sta per Frame Rate Control ed è una tecnica che simula la presenza di bit aggiuntivi (nei casi riportati sono 2) tramite l’accensione e spegnimento alternato dei pixel cercando di ingannare la percezione dell’occhio umano e sperando di evitare il banding.

Il banding è quella fastidiosa scalettatura che possiamo notare quando si visualizzano dei gradienti.

Qui sotto riporto tre semplici simulazioni, volutamente esasperate, per mettere in evidenza quanto appena detto.

Quindi sono da tenete in considerazione solo i monitor con almeno 8 bit reali!

Se le differenze tra 6 ed 8 bit sono veramente abissali, quelle tra 8 e 10 bit saranno decisamente più contenute; tuttavia se siete molto esigenti e pignoli, e volete il massimo, le differenze sono comunque apprezzabili.

NOTA: per gestire 10 bit reali occorrono schede video professionali come le nVidia Quadro o le ATI FireGL Pro, oppure alcune schede dove sono stati resi disponibili dei driver specifici per abilitare l’uso dei 2 bit agguntivi.

 

Gamut

Domanda ricorrente: “È proprio necessario un monitor Wide Gamut oppure può bastare uno sRGB?”

Il gamut rappresenta l’insieme dei colori che la periferica può produrre.

Il termine Wide Gamut purtroppo è stato usato in modo tale da poter generare delle ambiguità perché tecnicamente il Wide Gamut è definito come spazio standard esattamente come sRGB, AdobeRGB 1998 e ProPhotoRGB.
Tuttavia da un punto di vista commerciale le varie aziende hanno usato questo termine per suggerire al cliente che il monitor in questione fosse in grado di produrre un insieme di colori ben più esteso del classico standard sRGB.

Di conseguenza i monitor etichettati come Wide Gamut non coprono lo spazio standard Wide Gamut, ma più generalmente possono coprire degli spazi ben più estesi del classico sRGB, fino a raggiungere il tanto desiderato 100% AdobeRGB 1998.

Nel seguente grafico si riportano i principali spazi e le rispettive aree coperte in relazione allo spettro visibile.

Appare evidente che un monitor potrà riprodurre solo una parte dello spettro del visibile, e quanto più sarà grande tanto maggiore sarà il suo Gamut.
Però non è detto che riesca a produrre un gamut identico ad uno degli spazi standard, e quindi importante intrudurre i concetti volume e copertura.

Possiamo intuire facilmente che il parametro di copertura è più interessante rispetto al volume.

In definitiva mi sento di farvi le seguenti raccomandazioni:

se l’uso del monitor sarà destinato prevalentemente alla fruizione di contenuti web allora può esse sufficiente anche un copertura prossima al 100% sRGB
se l’uso del monitor sarà destinato ad un uso profesionale e con interesse alla stampa fine art allora si consiglia una copertura prossima al 100% AdobeRGB 1998

 

DeltaE medio

Domanda ricorrente: “Cosa indica il paramentro DeltaE medio?”

Dopo aver definito quanti colori può riprodurre un monitor, è importante valutare anche quanto questi vengano riprodotti in modo accurato.

Il DeltaE ci descrive la differenza tra il colore di riferimento e quello riprodotto; ovvero una sorta di errore che il monitor ha nel riprodurre i colori.

Il DeltaE medio non sarà altro che la media di tutti i DeltaE dei colori (campioni) presi in esame.

Per semplicità di trattazione non tratteremo le varie metodologie usate per il calcolo dei DeltaE, ma indicativamente sarà utile sapere che un valore del DeltaE medio minore di 2 può esser considerato come un buon risultato.

NOTA: il solo parametro DeltaE medio delle volte potrebe trarci in inganno, mentre una valutazione attenta dei singoli DeltaE ci restituirà delle informazioni più dettagliate sul comportamento del dispositivo.

 

LUT

Le LUT (Lookup Table) sono delle memorie contenute nelle schede video e/o nei monitor, dove vengono salvate le informazioni per correggere le curve gamma native dei rispettivi canali RGB.

Una LUT è assimilabile ad una tabella dove vengono mappate le coppie input/output provenienti dal vostro PC e destinati al vostro monitor.

Così come i pannelli con una maggiore profondità di colore ci permettone di ottenere transizioni tonali più omogenee, le LUT con una maggior profondità potranno restituire una correzione più precisa ed accurata.
Generalmente le LUT operano ad una profondità di bit maggiore rispetto a quelle del pannello, ed i motivi risiedono nei teoremi sulla correzione dell’informazione che non tratteremo in questo articolo.
Valori tipici variano da 8 a 16 bit, ma superati i 10bit si fa fatica a percepire una differenza concreta.

Uno dei vantaggi che si anno nell’avere un monitor con LUT dedicata è la possibilità di passare facilmente da un preset di calibrazione ad un’altro, come ad esempio dalla calibrazione ottimizzata per la visione web ad una ottimizzata per la stampa.
In verità questa operazione può esse effettuata anche tramite l’utilizzo di appositi software per la gestione dei profili ICC, tuttavia non è sempre così semplice ed agevole.

NOTA: i monitor che non hanno delle LUT interne sfruttano quelle presenti nelle schede video.

 

Contrasto e Luminosità

Essendo contrasto e luminosità due parametri distinti ci aspetteremmo un comportamento indipendente l’uno dall’altro, dove al variare della luminosità il contrasto rimanga costante.
Tuttavia non sarà così.

Il contrasto, o più precisamente rapporto di contrasto espresso nella forma x:1 (dove x è il valore del contrasto), è il rapporto tra la luminanza di un pixel bianco e quello di un pixel nero.
La luminanza è una misura espressa in candele al metro quadro (cd/m2), mentre il contrasto è un numero adimensionale e calcolato come nella formula seguente:

contrasto = (luminanza bianco / luminanza nero)

Dobbiamo però distinguere due tipi di contrasto:

statico (nativo)
dinamico (ottenuto tramite opportune elaborazioni)

dove per uso fotografico sarà di interesse solo quello statico.

Il valore del contrasto dichiarato dai costruttori farà sempre riferimento al valore massimo di luminosità selezionabile dal menu del monitor (OSD).
Quindi se da una parte sarà semplice intuire che con valori più elevati del contrasto avremo una riproduzione migliore sia del dettaglio che del colore, dall’altra un valore così espresso ci può restituisce un quadro incompleto e falsato.

Di fatti, per uso fotografico, sarà di particolar interesse valutare il contrasto ottenuto in corrispondenza di determinati valori di luminanza:

120 cd/m2 (generalmente per il web)
80 cd/m2 (generalmente per la stampa)

Questo andamento, benchè non sempre fornito dal costruttore, risulta tuttavia facilmente reperibile nei vari test e recensioni presenti nel web.

Qui di seguito si riporta l’andamento del contrasto di un monitor in funzione della sua luminosità.

[su_row]
[su_column size=”1/4″ center=”no” class=””]Luminosità del
Monitor %

100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
[/su_column]
[su_column size=”1/4″ center=”no” class=””]Luminanza del
Bianco cd/m2

427
384
321
283
229
170
126
88
63
32
[/su_column]
[su_column size=”1/4″ center=”no” class=””]Luminanza del
Nero cd/m2

0,43
0,40
0,35
0,30
0,25
0,20
0,18
0,16
0,10
0,05
[/su_column]
[su_column size=”1/4″ center=”no” class=””]Contrasto del
Bianco/Nero

993
960
917
943
916
850
700
550
630
640
[/su_column]
[/su_row]

Come possiamo notare, per un contrasto statico dichiarato pari a 993 (alla massima luminosità), valutato alla luminanza di 126 cd/m2 (valore prossimo a quello di riferimento) avrà un contrasto di 700:1.

Quest’ultimo sarà il solo ed unico valore di contrasto realmente interessante!

 

Illuminazione

Per quanto concerne l’illuminazione dovremo prestar particolar attenzione ad alcuni aspetti, a maggior ragione perchè non rientrano come specifiche saranno analizzabili solo a valle di test speciici.

Uniformità

I monitor che non hanno una buona uniformità di luminosità possono manifestare degli effetti simili ad una vignettatura ma con delle geometrie meno regolari, e nei casi peggiori si possono generare veri e propri aloni.

Sanguinamento Luminoso (Backlight Bleeding)

I monitor LCD sostanzialmente sono costituiti da due pannelli: quello esterno contenente i pixel e quello interno di retroilluminazione.

Quando si hanno delle alte tolleranze di accoppiamento costruttivo si può verificare una fuoriuscita della luce di retroilluminazione, causando un’illuminazione irregolare soprattuto sui bordi dello schermo.

Bagliore IPS (IPS Glow)

I monitor con tecnologia IPS possono presentare dei bagliori luminosi che si notano maggiormente quando si guardano delle immagini scure e da una certa angolazione.

A differenza del sanguinamento luminoso, il bagliore IPS, non si verifica ai bordi ma negli angoli.

Inoltre, il sanguinamento luminoso non cambia di intensità al variare dell’angolazione di osservazione, mentre il bagliore IPS dipende fortemente da questo parametro.

Il bagliore IPS tutavia non può mai essere completamente evitato perchè fa semplicemente parte della tecnologia IPS.

Sfarfallio (Flickering)

I monitor che usano dei controller PWM (Pulse Width Modulation) per variare la loro luminosità, possono generare uno sfarfallio soprattutto con l’impostazione di bassi valori di luminosità.

Questo fenomeno viene chiamato flickering, ed in alcuni casi è talmente evidente che può generare un notevole affaticamento visivo.

 

Refresh rate, response time ed input lag

Purtroppo questi termini vengono spesso confusi, quindi cerchiamo di far ordine:

refresh rate è il numero massimo di fotogrammi che il pannello può processare in un secondo e sono misurati in Hertz
response time è il tempo impiegato da un pixel a cambiare colore ad esempio dal nero poi a bianco e di nuovo a nero
input lag è il tempo che intercorre tra un dispositivo di input e l’effettiva riproduzione a monitor

Tuttavia questi aspetti, per utilizzo fotografico, non ricoprono un ruolo rilevante.

 

Il mio consiglio

Non fermarsi mai alla sola lettura delle specifiche tecniche dichiarate dalle aziende costruttrici, ma approfondire sempre attraverso la lettura di recensioni corredate da test tecnici.

 

I miei monitor

Io attualmente utilizzo sia un EIZO CG279X che un DELL UP2516D.

 

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Conversione ed intenti di rendering

Intenti di rendering

RISPOSTA SINTETICA

FOTOGRAFIA: Colorimetrico Relativo e Percettivo

GRAFICA: Saturazione

SIMULAZIONI: Colorimetrico Assoluto

Premessa

Prima di proseguire vi consiglio di aver letto i precedenti articoli:

Scelta del profilo colore per la stampa
Conversione del profilo colore per la stampa

Facendo un breve ripasso possiamo dire che ogni qual volta ci si sposta da un gamut sorgente ad uno di destinazione viene effettuato il processo di conversione colore atto a garantire la coerenza nella riproduzione dei colori.

 

Cosa sono ed a cosa servono gli intenti di rendering?

Gli intenti di rendering sono degli algoritmi che descrivono come rappresentare i colori che risultano fuori gamut dello spazio di destinazione.

 

Quali e quanti sono gli intenti di rendering?

Gli intenti di rendering sono principalmente quattro e possiamo raggrupparli in due macro gruppi:

Intenti colorimetrici:

Colorimetrico Assoluto
Colorimetrico Relativo

Intenti NON colorimetrici:

Percettivo
Saturazione

 

Intenti Colorimetrici e NON Colorimetrici

Negli intenti colorimetrici i colori non contenuti nel gamut di destinazione vengono sostituiti con colori ai margini del gamut di destinazione.
Avremo così un fenomeno di clipping.

Negli intenti NON colorimetrici TUTTI i colori, a prescindere che siano contenuti o meno nel gamut di destinazine, vengono sostituiti preservando però l’aspetto e forma del gamut sorgente.
Avremo così un fenomeno di compressione.

Nella figura seguente possiamo osservare la differenza dei gamut di output, con il medesimo gamut di input, al variare dell’intento usato.

 

Colorimetrico Assoluto

In questo intento di rendering:

i colori che rientrano nel gamut di destinazione NON vengono modificati
i colori che NON rinetrano nel gamut di destinazione vengono sostituiti con colori ai margini del gamut di destinazione (clipping)
la sostituzione avviene modificando sia la saturazione che la luminosità dei colori

Possiamo quindi dedurre che:

risulta più adatto quando la maggior parte dei colori rientrano nel gamut di destinazione (ottenendo un’elevata corrispondenza)
se ci sono molti colori fuori gamut si può generare una “perdita di dettaglio” con un appiattimento dei toni e con sfumature che vengono trasformate in “tinte piatte”

NOTA: questo intento di rendering non effettua nessuna compensazione del punto di bianco e di nero.

 

Colorimetrico Relativo

In questo intento di rendering:

i colori che rientrano nel gamut di destinazione NON vengono modificati
i colori che NON rinetrano nel gamut di destinazione vengono sostituiti con colori ai margini del gamut di destinazione (clipping)
la sostituzione avviene modificando la saturazione ma non la luminosità dei colori

Possiamo quindi dedurre che:

risulta più adatto quando la maggior parte dei colori rientrano nel gamut di destinazione (ottenendo un’elevata corrispondenza)
se ci sono molti colori fuori gamut si può generare una “perdita di dettaglio” con un appiattimento dei toni e con sfumature che vengono trasformate in “tinte piatte”

NOTA: questo intento di rendering effettua anche la compensazione del punto di bianco e di nero in modo da simulare le caratteristiche del profilo di destinazione (come ad esempio quello della carta).

 

Percettivo

In questo intento di rendering:

i colori vengono tutti modificati
i colori mantengono le loro posizioni relative (compressione)
si cerca di mantenere la tinta del colore a discapito della luminosità e saturazione

Possiamo quindi dedurre che:

risulta più adatto quando ci sono molti colori che non rinetrano nel gamut di destinazione

NOTA: questo intento di rendering sfrutta la maggior sensibilità che ha l’occhio umano nei confronti delle sfumature (relazioni tra i colori) rispetto alla loro esattezza. Per l’appunto, l’intento, viene chiamato percettivo.

 

Saturazione

In questo intento di rendering:

i colori vengono tutti modificati
i colori mantengono le loro posizioni relative (compressione)
si cerca di mantenere la saturazione del colore a discapito della luminosità e tinta

Possiamo quindi dedurre che:

adatta tutti i colori alla migliore saturazione (croma) possibile riproducendo in modo preciso la saturazione colore dell’immagine originale

NOTA: questo intento di rendering è principalmente usato nella grafica aziendale dove è più importante mantenere la saturazione rispetto alle relazione tra i colori.

 

Siamo proprio sicuri di volere una riproduzione esatta?

Per uso prettamente fotografico, puntare ad una riproduzione esatta, non è sempre sufficiente per garantisce un risultato più soddisfacente.

Tuttavia, se l’intento fosse quello di replicare un documento nel modo più preciso possibile ma pur accettandone la limitatezza del gamut di destinazione, allora la riproduzione esatta potrebbe portare dei benefici.

In definitiva, non potendo stabilire una regola fissa, bisogna saper valutare di volta in volta quale risulti esser l’intento di rendering che soddisfi al meglio le nostre necessità.

 

Intenti di rendering per la fotografia

Sia l’intento di rendering colorimetrico relativo che percettivo sono probabilmente tra quelli più utilizzati per la fotografia digitale.

Le differenze principali risiedono nelle loro priorità:

il colorimetrico relativo mantiene una rappresentazione precisa dei colori nel gamut, ma quelli al di fuori vengono tagliati via (clipping)
il rendering percettivo ha una rappresentazione inprecisa di tutti i colori compresi quelli nel gamut, ma ne preserva la loro relazione (compressione)

Ipotizzando ad esempio di avere un’immagine con uno spazio cromatico nero-verde:

possiamo notare che:

l’itento di rendering colorimetrico relativo è più preciso nel rappresentare i colori compresi nel gamut, ma genera una perdita di informazione per tutti (clipping); possiamo di fatti notare un appiattimento delle sfumature verso il centro delle sfere
l’intento di rendering percettivo altera la rappresentazione di tutti i colori (compressione), ma preserva la relazione tra i colori percepita; possiamo di fatti notare che i colori sono meno saturi e brillanti ma con sfumature più uniformi

NOTA: a parità di intento di rendering usato si potranno avere risultati dfferenti in base al CMM usato (Adobe ACE, Microsoft ICM e Apple ColorSynch).

 

Clipping e Compressione

L’intento colorimetrico relativo, applicando un clipping, distrugge le informazioni sul colore.
L’intento percettivo, applicando una compressione, non distrugge le informazioni sul colore ma le ridistribuisce.

Questo significa che se la conversione con l’intento colorimetrico relativo è irreversibile, quella con l’intento percettivo può essere invertita.

Ovviamente NON vuol dire che usando l’intento percettivo ed applicando una conversione dallo spazio sorgente a quello di destinazione e nuovamente a quello di sorgente si riprodurrà l’originale.
Tuttavia tramite l’uso accurato delle curve si può invertire la compressione del gamut causata dalla conversione.

 

Come scegliere l’intento di rendering?

La risposta più semplice sarebbe quella di effettuare una soft proof e verificare quale intento di rendering ci restituisce il miglior risultato.

Tuttavia, se volessimo avere una risposta più tecnica e meno basata dalla nostra percezione, dovremmo valutare in modo congiunto:

il gamut dell’immagine
il gamut della destinazione

 

Come possiamo simulare il gamut di un’immagine e quello di destinazione per scegliere l’intento di rendering migliore?

Se siete arrivati fin qui… nel prossimo articolo ne vedremo delle belle!

 

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Conversione del profilo colore per la stampa

Conversione del profilo colore per la stampa

RISPOSTA SINTETICA

Leggere l’intero articolo.

Premessa

Prima di proseguire vi consiglio di aver letto il precedente articolo:

Scelta del profilo colore per la stampa

 

A cosa serve una conversione del profilo colore?

La fase di conversione servirà a garantire una rappresentazione coerente dell’immagine, a prescindere dal gamut riproducibile dal sistema di destinazione.

 

Cosa accade durante la fase di conversione?

Per semplicità di trattazione, si tralascerà il rigore accademico a favore di una più facile comprensione del meccanismo in gioco.

Quindi, siano definiti due spazi arbitrari:

S di sorgente (ad esempio ProPhoto RGB)
D di destinazione (ad esempio sRGB)

e presi due punti P:

P1 contenuto sia in S che in D
P2 contenuto in S ma non in D

allora:

P1 verrà rappresentato in D senza esser alterato (perché è contenuto in D)
P2 verrà rappresentato in D in modo alterato (perché non è contenuto in D)

NOTA: in verità, quello che accadrà al punto P, dipenderà dall’intento di rendering utilizzato; ma di questo aspetto avremo modo di parlarne nel prossimo articolo.

 

Come effettuare la conversione del profilo colore?

Seguendo questi semplici passaggi riuscirete ad effettuare una conversione del profilo colore mantenendo inalterato il documento nativo:

unire tutti i livelli visibili in un nuovo livello con la combinazione di tasti CTRL+ALT+SHIFT+E
cliccare con il tasto destro sul nome del nuovo livello appena creato e fare Duplica livello…
nella sezione Destinazione al campo Documento selezionare nel menu a discesa la voce Nuovo e premere OK
adesso che ci troviamo nel nuovo documento portarsi nel menu Modicifca > Converti in profilo…
sfruttare il flag Anteprima per visualizzare l’effetto della conversione
se necessario nella sezione Opzioni di conversione provare i vari intenti di rendering e le relative opzioni
cliccare su OK

 

Se l’immagine è in ProPhoto RGB o Adobe RGB e la converto per la stampa in sRGB: perdo delle informazioni?

In prima battuta si potrebbe pensare che una conversione simile faccia “perdere” molte informazioni.

Tuttavia non è sempre così.

Questo perchè non dobbiamo osservare solo la differenza tra gli spazi sorgente e destinazione, ma anche la distribuzione dei punti P che descrivono l’immagine presa in esame.

Quindi in alcuni casi non avremo effetti tangibili, mentre in altri (ad esempio per quei colori particolarmente saturi e/o brillanti) gli effetti saranno decisamente più evidentei.

 

Devo convertire nel profilo stampante/supporto?

No, a meno che non sia esplicitamente richiesto dallo stampatore.

In genere questo profilo viene utilizzato per effettuare una prova colore a monitor (o soft proof) come descritto in questo articolo:

Visualizzare i colori che avremo in stampa

 

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Scelta del profilo colore per la stampa

Scelta del profilo colore per la stampa

RISPOSTA SINTETICA

Stampa chimica (Minilab): profilo colore sRGB

Stampa a getto d’ichiostro (Fine Art): preferibilmente profilo colore ProPhoto RGB o Adobe RGB

Stampa con mancanza di informazioni dettagliate: profilo colore sRGB

Premessa

Prima di proseguire vi consiglio di aver letto i seguenti articoli:

Quale spazio colore per la Post-Produzione
Perché usare lo spazio colore ProPhoto RGB
La stampa è diversa dal monitor
Cos’è e come funziona la Soft Proof

Facendo un rapido ripasso:

il RAW non ha un profilo colore
usiamo ProPhoto RGB per la fase di post-produzione
il monitor deve esser calibrato e profilato
dobbiamo usare dei software color management
ci sono colori riproducibili a monitor ma non in stampa
ci sono colori riproducibili in stampa ma non a monitor
possiamo simulare a monitor quali colori saranno stampabili

L’immagine qui sotto ne rappresenta la sua massima esemplificazione bidimensionale.

Possiamo facilmente dedurre che:

gli spazi coperti dai vari sistemi sono tutti differenti
non sempre possiamo stablire a priori la destinazione d’uso di un’immagine

allora:

sarà conveniente lavorare in uno spazio che sia il più ampio possibile in modo da poter preservare la maggior parte delle informazioni
si potrà effettuare una conversione specifica per la destinazione d’uso

NOTA: una conversione da uno spazio grande ad uno più piccolo ha senso, mentre di solito, non il viceversa.

 

È meglio stampare in sRGB, Adobe RGB o ProPhoto RGB?

Non ha minimamente senso parlare di “meglio” o “peggio” perchè tutto sarà in funzione della specifica tecnica di stampa e supporto di destinazione.

Tuttavia, semplificando di molto la problematica, possiamo dire che:

SE l’immagine ha un profilo colore con gamut esteso
SE l’immagine ha delle informazioni rilevanti nelle zone periferiche del gamut (prossime al suo perimetro)
SE la tecnica di stampa ed il supporto sono in grado di riprodurre un gamut esteso

allora mantenere un profilo con gamut esteso potrà produrre dei benefici anche in fase di stampa.

NOTA: in questo caso con il termine “gamut esteso” si è fatto riferimento ai più comuni Adobe RGB e ProPhoto RGB aventi un gamut più esteso di sRGB.

 

Quando stampare in sRGB

Una conversione in sRGB, risulterà ragionevole, per tutte quelle tecniche di stampa in grado di riprodurre un gamut simile all’sRGB.

Tra le più comuni possiamo trovare le stampe fotografiche realizzate mediante Minilab che sfruttano processi chimici (ma non solo).

Questa conversione si dimostrerà particolarmente utile anche per prevenire eventuali problemi.

Infatti alcuni Minilab che non gestiscono il colore possono:

assumere per default la presenza di un profilo colore incorporato sRGB
eliminare il profilo colore incorporato
assegnarne uno profilo colore simile ad sRGB
NON effettuare una conversione di profilo colore

generando dei risultati di stampa non controllabili.

Nella figura qui sotto riporto una simulazione di cosa potrebbe accadere nel caso in cui si inviasse in stampa un’immagine con pofilo colore incorporato ProPhoto RGB presso un sitema Minilab, con copertura simile ad sRGB, che non gestisce il colore.

Nella parte sinistra l’immagine che vedremmo a monitor.

Nella parte destra la stampa errata.

Muovete il cursore per vedere il prima/dopo.

[twentytwenty]


[/twentytwenty]

 

Quando stampare in Adobe RGB o ProPhoto RGB

Se puntate ad una stampa di altissima qualità, effettuata tramite stampanti a getto d’inchiostro e su carte particolarmente pregiate, fornire un’immagine ricca di infromazioni sarà la strada da preferire.

Queste tipologie di stampe vengono generalmente chiamate Fine Art.

In linea teorica, fornire un file con un profilo che sia il più ampio possibile sarebbe sempre da preferire, a patto che il sistema di stampa e/o lo stampatore sappia gestire in modo corretto la catena del colore!

Tuttavia, in alcuni casi, lo stampatore potrebbe richiedervi un determinato profilo.

Io personalmente, nel momento in cui decidessi di effettuare una stampa Fine Art, non sarei disposto a convertire un’immagine in sRGB e buttare via delle informazioni a priori.

Quindi, se il servizio non garantisse la stampa in ProPhoto RGB o Adobe RGB, semplicemente mi dirigerei altrove.

 

Se il servizio di stampa non specifica né il profilo colore né il tipo di stampa… cosa faccio?

Di solito evito come la peste situazioni come queste!

D’altro canto le scelte più sensate sono solo due:

cercare di reperire maggiori informazioni dallo stampatore
convertire in sRGB in modo da minimizzare gli imprevisti

 

Come effettuare una conversione di profilo colore?

Se siete arrivati fin qui, non potete perdervi il prossimo articolo!

 

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Simulazione dei colori in stampa

Come visualizzare a monitor i colori che avremo in stampa

RIASSUNTO

Se abbiamo già installato il profilo ICC da simulare basterà portarsi nel menu di Photoshop Visualizza > Imposta prova > Personale… e selezionare le opzioni desiderate.

Introduzione

Se non avete letto il precedente articolo dove spiego Cos’è e come funziona la Soft Proof, fatelo adesso!

 

C’è un modo per vedere sul monitor come verrà l’immagine stampata?

Diciamo che in linea teorica la Soft Proof risponde esattamente a questa domanda.

Tuttavia dobbiamo sempre tenere a mente che la stampa, per sua natura, sarà sempre “differente” da un’immagine riprodotta da un dispositivo digitale.

NOTA: la simulazione di stampa potrà produrre un buon risultato a patto che ogni colore producibile dalla stampante sarà riproducibile anche dal monitor.

 

Cosa ci serve per poter effettuare una simulazione di stampa in modo corretto?

Per far si che la procedura si Soft Proof funzioni correttamente dobbiamo rispettare i seguenti prerequisiti:

l’immagine abbia un profilo incorporato (auspicabilmente tra gli standard)
il monitor sia stato calibrato e profilato (e generato quindi il profilo ICC)
il sistema stampante/carta sia stato calibrato e profilato (e generato quindi il profilo ICC)
usare delle applicazioni Color Management (che supportino quindi i profili ICC)
usare delle applicazioni che permettano una Soft Proof

 

Dove reperire i profili ICC stampante/carta?

Una volta deciso il tipo di stampa, lo stampatore “dovrebbe” fornire il profilo ICC stampante/carta (dove per carta si intende un qualsiasi supporto di stampa come ad esempio anche forex, metallo, etc..).

Se così non fosse, l’unica soluzione è quella di reperire il profilo ICC presso il sito web del produttore del supporto, dove avrete modo di selezionare l’accoppiata stampante/carta come in figura.

 
 

 

Nel nostro caso abbiamo selezionato la coppia:

Epson Pro 9900
Hahnemuhle Photo Rag

 

NOTA: quando scarichiamo un profilo ICC che non sia stato fornito direttamente dal nostro stampatore, dobbiamo esser consapevoli del fatto che quel profilo potrebbe generare una simulazione di stampa differente da quella del nostro stampatore.

 

Questo perchè il profilo ICC di stampa viene generato facendo riferimento al sistema driver+stampante+inchiostri+carta.

 

Quindi anche se i due profili facessero riferimento alla medesima stampante e carta, può capitare che:

il driver usato sia differente
la produzione degli inchiostri e/o della carta sia cambiata nel tempo (ad esempio per adempimento alle nuove normative relative all’uso di determinati elmenti chimici)

E tanto basterà per vanificare la nostra Soft Proof.

 

Come installare il profilo ICC?

Una volta effettuato il download del profilo ICC desiderato si procederà in questo modo:

chiudere Photoshop se in esecuzione
se abbiamo scaricato una cartella/file compresso procedere alla sua estrazione (winzip, winrar, 7zip, etc…)
aprire la cartella e portarsi sul file ICC caratterizzato da un’icona facilmente riconoscibile
cliccare sul profilo ICC con il tasto destro e selezionare installa profilo

 

 

Come effettuare la simulazione di stampa o Soft Proof?

Adesso che abbiamo tutto il necessario ci basterà seguire i passi in questo ordine:

aprire il documento/immagine in Photoshop
portarsi nel menu Visualizza > Imposta prova > Personale…
nella zona Dispositivo da simulare selezionare il profilo ICC precedentemente installato
nella zona Intento di rendering per adesso selezioniamo Colorimetrico relativo con Compensazione punto di nero (approfonsidremo meglio i vari intenti in uno dei prossimi articoli)
applicare la spunta su Anteprima e cliccare su OK

 

 

Prova colori ed avvertimento gamma!

Se avete seguito correttamente la procedura appena descritta, vi ritroverete con la prova colori attivata.
In altri termini starete vedendo a monitor la simulazione di stampa con le impostazioni precedentemente assegnate.

A questo punto vi segnalo due combinazioni di tasti che vi torneranno molto utili:

attivare/disattivare la prova colori con CTRL+Y
attivare/disattivare l’avvertimento gamma con MAIUSC+CTRL+Y (dove il tasto MAIUSC è corrisponde al tasto SHIFT)

In questo caso ho preferito lasciarvi le scorciatoie da tastiera perchè oggettivamente sono più pratiche e veloci per visualizzare al meglio cosa accade alla nostra immagine (rispetto al passaggio classico tramite il menu Visualizza).

 

Prova colori

Nella parte sinistra l’immagine originale che potrebbe corrispondere ad una vostra fotografia (casomai una volta conclusa la fase di sviluppo e post-produzione).

Nella parte destra la sua prova colore come descritto poco sopra.

Muovete il cursore per vedere il prima/dopo ed osservate attentamente cosa accade per ogni singolo riquadro.

 

 

Possiamo notare che:

in alcune zone non ci sono cambiamenti importanti (ovvero nei due riquadri in alto con un paesaggio ed un ritratto)
in altre zone particolarmente sature e luminose la differenza è molto evidente (ovvero nei riquadri in basso e nella banda cromatica sulla parte destra)

Quello che vediamo è il risutlato dell’adattamento dei punti fuori gamut, rispettando l’intento di rendering prescelto (dove in questo caso è il colorimentrico relativo con compensazione del punto di nero).

 

NOTA: cambiando intento di rendering, e relativi parametri, cambierà anche il risultato della nostra simulazione di stampa.

 

Avvertimento gamma

Come appena visto, non è sempre semplice cogliere le differenze nella prova colore.
Pertanto, usando la funzione di avvertimento gamma (MAIUSC+CTRL+Y), ci verranno mostrate in grigio tutte le zone fuori gamut di una determinata conversione di colore ed un dato intento di rendering.

Muovete il cursore per vedere il prima/dopo ed osservate attentamente cosa accade per ogni singolo riquadro.

 

 

NOTA: per alcuni profili l’avvertimento gamma non funziona.

 

Come preparare al meglio un’immagine per la stampa?

Se siete arrivati fin qui… allora non potete perdervi il prossimo articolo!

 

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Conversione stampa RGB o CMYK

Quando convertire da RGB a CMYK (per la stampa)

RISPOSTA SINTETICA

Se la destinazione è una stampa fotografica (chimica o getto d’inchiostro) lasciare il documento nel metodo RGB.

Se la destinazione è una stampa tipografica potrebbe aver senso partire con un documento direttamente in CMYK (in modo da bypassare la fase di conversione) o effettuare una conversione in CMYK a valle dell’intero flusso di lavoro.

Introduzione

Non è difficile imbattersi in articoli dove viene proposta la segunete formula magica:

“Le migliori impostazioni per avere delle stampe fedeli.”

Fedele? Mmm… fedele a cosa?

Per poter avere un criterio di fedeltà si dovrebbe come prima cosa definire un riferimento, altrimenti questo termine così usato dice poco… anzi nulla.

Tuttavia quello che comunemente si vuol intendere è il fatto di voler ottenere delle stampe che replichino in modo fedele quello che si vede a monitor.

Se questa però è la vostra idea di stampa, e non si ha ancora bene a mente che non si stampa mai quel che si vede, prima di proseguire vi consiglio di leggere questo articolo.

Tralasciando ora i cavilli lessicali, quello che spesso si consiglia recita come segue:

“Se vuoi avere dei colori fedeli in stampa devi convertire la tua foto in CMYK perhé che la stampante ragiona con gli inchiostri CMYK.”

Bene, anzi no… male… MOLTO MALE!

Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

 

Cosa sono RGB e CMYK

RGB e CMYK sono due metodi colore (o modelli di colore) che servono per rappresentare e descrivere il colore, e lo fanno in modo differente.

Esiste anche un metodo che merita di esser mezionato data la sua rilevanza: il metodo Lab.
Quest’ultimo ha la peculiarità, a differenza degli altri due, di avere una capacità descrittiva del colore assai più precisa e di essere indipendente dalla periferica.

Quando diciamo che RGB e CMYK sono dipendenti dalla periferica stiamo dicendo che:

RGB sarà dipendente dal monitor e dalla macchina fotografica
gli stessi numeri RGB producono colori diversi su monitor diversi
per produrre lo stesso colore su monitor diversi è necessario usare numeri RGB diversi
CMYK sarà dipendente dalla stampante
gli stessi numeri CMYK producono colori diversi su stampanti diverse
per produrre lo stesso colore su stampanti diverse è necessario usare numeri CMYK diversi

La soluzione a tutti questi problemi è data dalla “Gestione digitale del colore” che, tramite l’ausilio dei profili, ci permette di rendere la riproduzione di un’immagine indipendente dalla periferica.

 

Il modello RGB

Per quanto concerne il modello RGB possiamo dire che:

l’acronimo RGB sta Rosso (Red), Verde (Green) e Blu (Blue)
è un metodo con 3 canali si parla di tricromia
è un modello di colori a sintesi additiva
ogni canale ha valori compresi tra 0 e 255 (sistema ad 8 bit con 256 combinazioni)
la somma di R,G e B alla massima intensità (R255,G255,B255) generano il bianco
la somma di R,G e B alla minima intensità (R0,G0,B0) generano il nero
la somma di R,G e B in egual misura (R86,G86,B86) generano un tono di grigio neutro (più o meno chiaro/scuro)
generalmente usato per la cattura/rappresentazione digitale delle immagini (sensori, monitor e proiettori)

 

Il modello CMYK

Per quanto concerne il modello CMYK possiamo dire che:

l’acronimo CMYK sta per Ciano (Cyan), Magenta (Magenta), Giallo (Yellow) e Nero (blacK)
il nero viene indicato con la lettera K anziché B per non confondersi con il blu
è un metodo con 4 canali si parla di quadricromia
è un modello di colori a sintesi sottrattiva
ogni canale ha valori espressi in percentuale compresi tra 0% e 100%
la somma di C,M e Y alla massima intensità senza la presenza di K (C100,M100,Y100,K0) generano il bistro (una tonalità di marrone)
preso solo il K (nero) alla massima intensità (C0,M0,Y0,K100) il nero ottenuto non sarà assoluto
per avere un nero pieno possiamo prendere (C100,M100,Y100,K0) ed aggiungere una quantità di K
per avere un nero pieno possiamo prendere (C0,M0,Y0,K100) ed aggiungere una quantità di CMY in modo da poter ottenere dei “neri caldi” o “neri freddi”
generalmente usato per la riproduzione in fase di stampa

 

Differenze tra i colori CMYK ed RGB

In questa immagine, a titolo puramente esemplificativo, si è voluto mostrare come risultano i medesimi colori rappresentati con i due modelli colori RGB e CMYK.

 

Come vengono acquisite le immagini

Le immagini che normalmente vengono acquisite tramite le nostre macchine fotografiche sfruttando il modello colore RGB.
Di fatti davanti al sensore viene posto un filtro speciale che ci permette di registrare l’intensità luminosa dei vari canali RGB.
Questo filtro ha una conformazione particolare e si chiama matrice di Bayer.

Se sei curioso di approfondire questa tematica… non ti resta che rimanere sintonizzato e leggere uno dei prossimi articoli!

 

Come vengono stampate le immagini

Le stampanti ad inchiostri usano come base fondamentale i 4 inchiostri della quadricromia CMYK.

Tuttavia, con l’avanzamento tecnologico, si è arrivati all’utilizzo di ben 11 inchiostri:

Nero Light
Nero Light Light
Nero Photo
Nero Matte
Cyan
Cyan Light
Giallo
Vivid Magenta
Vivid Magenta Light
Orange
Green

In questo modo si è potuto ampliare il gamut riproducibile e minimizzare il più possibile le differenze tra RGB e CMYK.

 

Se le stampanti lavorano con una sorta di CMYK,
perchè non convertire le immagini da RGB a CMYK prima di inviarle in stampa?

Semplicemente perchè non spetta a noi effettuare questa conversione!

Sebbene le stampanti abbiano degli inchiostri genericamente rappresentabili con una base CMYK, la conversione da RGB a CMYK, sarà a carico del software e/o dirver di stampa.

Tuttavia se si avessero delle necessità particolari, è buona norma fare la conversione a valle del nostro fulusso di lavoro.

 

Gli svantaggi della conversione da RGB a CMYK

Potrà sembrare strano, ma le difficoltà a cui andremo in contro saranno molteplici:

perdida di gamut
maggior difficoltà e minor efficacia sulle correzioni tonali e cromatiche
la dimensione del file aumenta perchè passiamo dai 3 canali RGB a 4 canali CMYK
non si potranno usare alcuni alcuni comandi di Photoshop
la conversione in CMYK deve esser effettuta per una specifica condizione di stampa
maggior difficoltà per effettuare una soft proof

 

Quando conviene convertire da RGB a CMYK?

Talvolta può aver senso effettuare una conversione, sempre a valle dell’intero flusso di lavoro, quando la tecnologia di stampa e/o lo stampatore saranno a richederlo.

NOTA: di norma per le stampe delle immagini fotografiche, relizzate tramite processi chimici o getto d’inchiostro, non è necessario effettuare una conversione da RGB a CMYK; anzi la conversione potrebbe introdurre una perdita di informazioni e quindi ad un peggior risultato.

 

Quando conviene creare un documento direttamente in CMYK?

Ha senso invece creare una documento direttamente in CMYK se si prevede già una specifica destinazione d’uso.

 

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Cos’è e come funziona la Soft Proof

Cos’è e come funziona la Soft Proof?

RISPOSTA SINTETICA

La soft proof, o chiamata anche “prova colore a monitor”, ci permette di simulare a monitor come l’immagine potrebbe risultare in stampa.

Questa tecnica è praticata come alternativa ad una hard proof, che invece corrisponde ad una vera e propria prova di stampa.

Tecnicamente la soft proof può esser intesa come una duplice conversione effettuata in cascata.

Introduzione

Se siete arrivati fino qui, significa che siete dei veri amanti della fotografia, e forse vi sarete fatti più di una domanda prima di mandare in stampa le vostre foto.

La Soft Proof ci verrà in aiuto a patto che:

l’immagine abbia un profilo incorporato (auspicabilmente tra gli standard)
il monitor sia stato calibrato e profilato (e generato quindi il profilo ICC)
il sistema stampante/carta sia stato calibrato e profilato (e generato quindi il profilo ICC)
usare delle applicazioni Color Management (che supportino quindi i profili ICC)
usare delle applicazioni che permettano una Soft Proof

Solo in questo modo possiamo avere una simulazione attendibile.

 

Concetto ERRATO sulla gestione del colore!

Se così fosse, in stampa avremo solo i colori riproducibili dal monitor ed a sua volta riproducibili dalla stampante/carta.

Quindi un’intersezione che punterebbe a buttar via veramente molte informazioni.

 

Concetto CORRETTO sulla gestione del colore

Il software usato, se Color Management, gestirà ogni perfierica in modo completamente indipendente l’una dall’altra.

In altre parole significa che non si stampa quel che si vede a monitor (vi ricordate l’esempio della stampa con monitor spento?).

Ogni periferica godrà di un proprio intento di rendering atto a migliorare il matching tra gamut riproducibile e gamut dell’immagine sorgente.

 

E quando effettuiamo una SOFT PROOF?

Quando è attiva la modalità di Soft Proof (o Prova Colore) il software provvederà a fare due conversioni:

il software converte dal profilo ICC dell’immagine al profilo ICC della stampante/carta
il software converte dal profilo ICC della stampante/carta al profilo ICC del monitor

In questo modo si può avere una simulazione dell’output di stampa, preventivamente riprodotta a monitor.

 

Qual è il procedimento corretto per effettuare una Soft Proof?

Nel prossimo articolo descriverò il procedimento da seguire passo passo per effettuare una Soft Proof con Lightroom e Photoshop.

 

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